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l cyberbullismo tra adolescenti è ormai una vera e propria emergenza, perché tende a interessare una percentuale sempre più elevata di giovanissimi. Emblematica è, a questo proposito, l’indagine “Abitudini e stili di vita degli adolescenti 2014”, realizzata dalla Società italiana di pediatria.
Il pericolo social network
Per realizzare questo studio sul cyberbullismo è stato preso in considerazione un campione italiano di 2.107 studenti delle terze medie inferiori. L’indagine rivela che ben il 31% dei tredicenni (percentuale che sale al 35% considerando le sole femmine) ha subito una o più volte il cyberbullismo da parte di coetanei. Questo dato, già allarmante, cresce fino al 45% se l’adolescente in questione è iscritto e attivo su più di tre social network. Fenomeno decisamente frequente tra i giovanissimi, sempre intenti a condividere i momenti della vita con tutto il mondo 2.0, amici “reali” e non.
I rischi della Rete
A essere, quindi ,il luogo più a rischio di cyberbullismo tra adolescenti, è il web. Addirittura si registrano livelli allarmanti di insulti, persecuzioni e minacce su social network (39,4%), nelle chat (38,9%) e persino attraverso gli apparentemente innocui sms (29,8%). Tra gli atti di cyberbullismo più “pesanti” ritroviamo pubblicazione di foto o filmati offensivi (15%) e appropriazione dell’altrui identità, creando profili falsi sui social (12,1%).
Mancanza di fiducia negli adulti
Nonostante la gravità di questi atti, le vittime tendono a non confidarsi con gli adulti: infatti, l’85% degli episodi di cyberbullismo resta nascosto sia ai genitori sia agli insegnanti, ovvero le categorie adulte più vicine agli adolescenti. Ma come reagiscono quindi le vittime di cyberbullismo? Dall’indagine è risultato che gli adolescenti scelgono di “difendersi da soli” (60% dei maschi e 49% delle femmine) e che solo il 14% ne ha parlato con un amico/a, il 16,8% ha comunicato il disagio a un adulto e l’11,7% ha semplicemente subito in silenzio. Esiguo, invece, il dato di chi ha fatto la scelta più sensata e giusta, ovvero sporgere denuncia alla Polizia Postale (solo il 3,2%).
Più bravi in teoria che nella pratica
Il dato che fa molto pensare rispetto al fenomeno del cyberbullismo è che i giovani interrogati, che non hanno mai avuto esperienze di questo tipo, dichiarano che qualora le avessero non resterebbero inermi ma si confiderebbero e addirittura denuncerebbero il fatto. A parole, infatti, solo il 28% si difenderebbe da sè. Questo tipo di discrepanza tra teoria e pratica appartiene, però, al genere umano da sempre e non soltanto, quindi, al mondo degli adolescenti.
Il parere dell’esperto
Come afferma Fulvio Scaparro, psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza, si è tutti più “illuminati” e ragionevoli in linea teorica piuttosto che in pratica. Inoltre, parlare con un genitore o un educatore di una persecuzione sul web, obbliga l’adolescente a mostrare tutto un mondo, quello social, che oggi equivale all’antico diario segreto e che quindi presuppone una sorta di imbarazzo insuperabile. Si tratta certamente di un curioso paradosso visto che il social, per definizione, mostra al mondo ciò che si vive attraverso la condivisione. Risulta più facile quindi mostrarsi agli estranei da dietro un laptop o uno smartphone piuttosto che aprirsi con i propri genitori.
Necessaria una rete di comunicazione
In questo scenario di pericolosa omertà e di evidente incomunicabilità tra giovani e adulti, si rende, quindi, necessaria una rete di solidarietà, ascolto e denuncia degli abusi. Come dichiara Giovanni Corsello, Presidente della Sip, va favorito il dialogo con l’adulto attraverso l’acquisizione di fiducia.
Il ruolo del pediatra
Alla luce di questi pericoli, Corsello sottolinea l’importanza del ruolo del pediatra come figura di riferimento per bambini e adolescenti. Risulta, quindi, necessario che anche i pediatri abbiano una preparazione tale da poter riconoscere i segnali più subdoli e silenziosi lanciati dalle giovani vittime di cyberbullismo. E perché ciò avvenga, è fondamentale la cooperazione con la Polizia di Stato.