Diritti e maternità

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I diritti di maternità in gravidanza
La donna che lavora e che scopre di aspettare un bambino può godere di una serie di “facilitazioni” che ormai sono diritti acquisiti. In Italia la gravidanza è tutelata da un insieme di norme che garantiscono sicurezza in tutti i momenti della maternità.
Prima della nascita del bebè la legge si prefigge l’obiettivo di salvaguardare la salute della futura mamma e del bimbo, impedendo che la gestante svolga lavori a rischio, faticosi e pericolosi o turni di notte e assicurandole il mantenimento del posto di lavoro fino al compimento del primo anno del bambino e, attraverso i congedi, permettendole di conciliare il suo stato con il lavoro.
Fin da quando scopre di aspettare un bimbo la futura mamma si deve sottoporre periodicamente a controlli medici ed esami, molti dei quali sono gratuiti. E’ chiaro, inoltre, che una lavoratrice autonoma o libera professionista non deve rendere conto a nessuno del tempo utilizzato per visite ed esami. Diverso è il caso in cui la donna in gravidanza sia una lavoratrice dipendente e debba effettuare visite o esami durante l’orario lavorativo.
L’esenzione dal ticket
Oltre alla normale assistenza a carico del Servizio sanitario nazionale, la gestante può fruire gratuitamente (senza nemmeno pagare il ticket) di alcuni esami, visite ginecologiche ed ecografie (non tutti previsti, ma solo quelli previsti dal decreto n. 245 del 10 settembre 1998), purché eseguiti presso le strutture pubbliche o private accreditate. Gli esami devono essere prescritti dal medico di base o dallo specialista di una struttura pubblica, indicando la settimana di gestazione.
Prima del concepimento
È prevista l’esenzione di alcuni esami eseguiti in funzione preconcezionale, cioè prima di restare incinta. Questi possono riguardare la mamma, il papà o entrambi e servono per verificare la presenza di eventuali infezioni e malattie che possono essere trasmesse al bebè.
Durante la gravidanza
Per usufruire dell’esenzione, gli esami devono essere eseguiti in periodi precisi della gravidanza, stabiliti secondo un calendario preciso. Se gli esami sono effettuati in un periodo diverso rispetto a quello previsto per legge, si pagano.
In caso di problemi
È prevista l’esenzione dal ticket anche qualora siano necessari controlli più approfonditi e più frequenti (per esempio, in caso di gravidanza a rischio).
Gli esami gratuiti
  • Entro la 13a° settimana: • Emocromo • Gruppo sanguigno e fattore Rh • Test di Coombs indiretto • Glicemia • AST ALT (funzionalità epatica) • Rubeo test • Toxotest • VDRL-TPHA (sifilide) • HIV (Aids) • Esame delle urine completo • Ecografia ostetrica del primo trimestre;
  • tra la 14a e la 18a settimana: • Esame delle urine completo;
  • tra la 19a e la 23a settimana: • Esame delle urine completo • Ecografia morfologica;
  • tra la 24a e la 27a settimana: • Glicemia • Esame delle urine completo;
  • tra la 28a e la 32a settimana: • Emocromo • Ferritinemia • Esame delle urine completo • Ecografia ostetrica;
  • tra la 33a e la 37a settimana: • Antigene HBsAg (epatite B) • Anticorpi HCV (epatite C) • Emocromo • Esame delle urine completo;
  • tra la 38a e la 40a settimana: • Esame delle urine completo;
  • dalla 41a settimana: • Ecografia ostetrica • CTG (cardiotocografia).
I permessi retribuiti
Secondo l’art. 14 del decreto legislativo n. 151 del 2001, le lavoratrici dipendenti in attesa di un bambino hanno diritto a permessi retribuiti per effettuare esami prenatali, accertamenti clinici o visite mediche specialistiche che debbano essere eseguiti durante l’orario di lavoro. Questi permessi vanno richiesti compilando appositi moduli che si possono trovare presso l’ufficio del personale.
Si tratta di moduli diversi rispetto a quelli che si presentano, per esempio, per giorni di malattia o per permessi generici. Al termine dell’appuntamento medico, la lavoratrice è tenuta a rientrare al lavoro presentando la documentazione (rilasciata dal medico o dall’ospedale) che attesti la data e l’orario degli esami o della visita. Il permesso richiesto ha una durata necessaria a coprire il tempo che occorre alla donna per recarsi al luogo della visita, effettuare il controllo o l’esame e rientrare al lavoro.
Se però l’orario della visita, compreso il tempo necessario per recarsi dal lavoro alla struttura sanitaria e viceversa, è coincidente con le uniche ore di lavoro della lavoratrice in quella determinata giornata (come può succedere, per esempio, in caso di part-time), il permesso si configurerà come assenza per l’intera giornata lavorativa.
È importante ricordare che questi permessi sono retribuiti al cento per cento: la donna, in altre parole, non subisce alcuna decurtazione sullo stipendio.
Quando informare il datore di lavoro
Se la donna intende usufruire di questi permessi retribuiti, dovrebbe comunicare al proprio datore di lavoro di essere in attesa: questo apre un altro capitolo, ossia quando è il momento giusto per informare in merito alla propria gravidanza.
Molte donne preferiscono attendere che si sia compiuto il terzo mese prima di farlo sapere sul lavoro, anche per una sorta di “scaramanzia”. In questo caso la donna dovrà fissare le visite ginecologiche e gli esami in un orario al di fuori di quello lavorativo oppure, se questo non è possibile, usufruire di permessi non retribuiti.
In realtà la donna non è tenuta a informare l’azienda di essere in attesa, se non nel momento in cui presenta la domanda per il congedo di maternità.
Entro il settimo mese, in ogni caso, la donna è tenuta a informare il datore di lavoro delle proprie condizioni: non solo perché la gravidanza diventa ogni giorno più evidente, ma anche perché può essere necessario organizzare una sua sostituzione in vista del periodo di congedo di maternità.
La tutela della sicurezza
La legge prevede misure per la tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici in gravidanza e fino ai sette mesi del bimbo. In questo periodo, infatti, non si può essere adibite al trasporto e al sollevamento di pesi, ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri (per esempio, su impalcature, di manovalanza pesante o che costringono a stare in piedi per più di metà dell’orario). Tra i lavori considerati a rischio per la futura mamma rientrano quelli che comportano l’esposizione ad agenti nocivi.
La gestante non deve quindi essere sottoposta ad agenti fisici e chimici (rumori, colpi, radiazioni) e biologici (virus e batteri). In tutti questi casi, la futura mamma ha diritto a essere destinata temporaneamente ad altre mansioni, mantenendo, nel caso in cui esse fossero di categoria inferiore, la qualifica e la retribuzione precedenti.
Le spetta, invece, una maggiore retribuzione se le mansioni nuove sono di qualifica superiore. Se la futura mamma non può essere spostata, è possibile anticipare l’astensione obbligatoria: la richiesta deve però essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del Lavoro.
È vietato anche adibire le future mamme al lavoro dalle ore 24 alle 6 del mattino dall’accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino. Per tutto questo periodo, il datore di lavoro è tenuto ad assegnare solo turni diurni alla lavoratrice.
Si tratta di una misura per tutelare la salute della gestante in una fase delicata, in quanto il lavoro notturno è considerato come “antibiologico”, cioè contrario ai ritmi naturali umani basati sulla veglia diurna e sul riposo notturno.
L’astensione obbligatoria
Per quanto riguarda l’astensione obbligatoria (o congedo di maternità), le lavoratrici dipendenti del settore pubblico e privato debbono, per legge, stare a casa dal lavoro per un periodo complessivo di cinque mesi: due mesi prima e tre mesi dopo il parto.
Per avere diritto al congedo di maternità e all’indennizzo, è necessario presentare all’Ente previdenziale la domanda, che può essere richiesta al datore di lavoro oppure all’Inps o alla propria cassa previdenziale stessa (anche sul sito internet, alla voce Modulistica).
Alla domanda va allegato il certificato medico di gravidanza rilasciato da un medico del servizio sanitario nazionale o dell’azienda ospedaliera prima del compimento del 7° mese di gravidanza, da cui risulti anche la data presunta del parto.
In questo periodo, le lavoratrici dipendenti percepiscono l’80 per cento dello stipendio. Hanno diritto al congedo di maternità di cinque mesi e alla relativa indennità anche le lavoratrici autonome, le lavoratrici iscritte alla Gestione separata dell’Inps e, in alcuni casi, anche le mamme che hanno interrotto o sospeso l’attività lavorativa.
Le lavoratrici autonome come artigiane, commercianti, coltivatrici dirette, imprenditrici agricole professionali devono possedere la qualifica di lavoratrice autonoma, rilevabile dall’iscrizione nella relativa gestione previdenziale.
Le lavoratrici iscritte alla Gestione separata dell’Inps (per esempio le lavoratrici a progetto o le libere professioniste che non hanno una cassa previdenziale), assicurate esclusivamente all’Inps per la maternità, hanno diritto all’indennità di maternità a condizione che abbiano versato almeno tre mensilità di contribuzione nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di maternità. L’indennità mensile è sempre pari all’80 per cento della retribuzione mensile.
Il congedo di maternità flessibile
In alternativa, la donna può usufruire del “congedo di maternità flessibile” (legge 53/2000), vale a dire può scegliere di rimandare l’astensione dal lavoro fino un mese prima del parto (cioè al compimento dell’ottavo mese anziché del settimo) e prolungarla poi fino al quarto mese di vita del neonato.
Per poter usufruire del congedo flessibile è necessario presentare un’apposita domanda corredata dalla certificazione sanitaria del proprio ginecologo (del Ssn o con esso convenzionato), che attesti che questa scelta non comporta alcun rischio per la gestante e il nascituro.
Possono usufruire di questa possibilità, qualora sussistano le condizioni indicate, tutte le lavoratrici dipendenti, comprese quelle a domicilio e le socie-lavoratrici. Sulla richiesta, che va presentata almeno 15 giorni prima della scadenza del settimo mese all’Inps e al datore di lavoro, deve comparire anche il mese di gestazione e la data presunta del parto.
Entro 30 giorni dal parto, poi, devono essere presentati l’attestato di parto rilasciato dalla Asl, oppure lo stato di famiglia, oppure la dichiarazione sostitutiva da parte della richiedente da cui risultino le proprie generalità, quelle del bambino e lo stato di madre del piccolo. Anche in questo caso si percepisce l’80 per cento della retribuzione.
Il congedo anticipato
Nel caso di complicanze serie della gravidanza o di malattie che potrebbero essere rese più serie dalla condizione di gravidanza, ma anche se le condizioni di lavoro o ambientali sono ritenute pregiudizievoli alla salute della futura mamma e del feto o, ancora, se la lavoratrice, addetta a lavori pesanti, pericolosi o insalubri, non può essere spostata temporaneamente ad altre mansioni, è consigliabile che la donna resti a riposo prima di arrivare al settimo mese.
In questo caso si può usufruire del congedo anticipato di maternità, che si può richiedere anche nel caso in cui le condizioni di lavoro o dell’ambiente stesso di lavoro possano causare danno alla salute di mamma e bambino, oppure se la lavoratrice svolge mansioni pesanti.
Questo succede se la donna lavora in un ambiente dove può inalare sostanze nocive oppure se trascorre molto tempo in piedi e non può cambiare mansione. Al congedo anticipato dal lavoro hanno diritto tutte le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato e determinato, le lavoratrici a progetto o subordinate, le lavoratrici autonome e libere professioniste iscritte alla gestione separata Inps.
Per richiederlo è necessario procurarsi un certificato medico di gravidanza rilasciato da un ginecologo di una struttura pubblica (se rilasciato da ginecologo privato, il certificato dovrà essere convalidato dalla Asl), che contenga le generalità complete della lavoratrice, la denominazione del datore di lavoro, la qualifica della lavoratrice, l’epoca di gestazione, la data dell’ultima mestruazione, la data presunta del parto. Inoltre dovrà portare l’indicazione delle complicanze che obbligano a richiedere il congedo anticipato.
Il certificato va presentato, con novità introdotta dal 1 aprile 2012, all’Asl di competenza oppure alla Direzione provinciale del lavoro – servizio Ispezione del lavoro. L’ufficio competente rilascerà il provvedimento di autorizzazione all’astensione dal lavoro in duplice copia, una copia per la lavoratrice e una copia da consegnare al datore di lavoro. Anche in questo caso la retribuzione mensile prevista è pari all’80 per cento dello stipendio normalmente percepito.
In caso di aborto
In caso di aborto, avvenuto entro il 180° giorno di gestazione (cioè intorno alla 25a settimana), la lavoratrice ha diritto a una normale assenza per malattia per il periodo stabilito dal medico. Se invece avviene oltre il 180° giorno, si definisce parto prematuro e dà diritto ai cinque mesi di congedo di maternità.
In entrambi i casi, occorre presentare al datore di lavoro un certificato, rilasciato dal medico di base o dal ginecologo convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o dall’ospedale.
La donna incinta non può essere licenziata
Un diritto fondamentale della donna lavoratrice dipendente è il fatto di non poter essere licenziata a partire dal momento in cui è stata comunicata la gravidanza al datore di lavoro e fino a quando il bambino ha compiuto 12 mesi.
Se il datore di lavoro licenzia la donna in stato di gravidanza, sostenendo di non averne avuta comunicazione, la donna ha 90 giorni per presentare il certificato medico dimostrante che, quando è stato effettuato il licenziamento, era già in stato interessante.
Durante il periodo di gravidanza, inoltre, la donna non può portare pesi, fare il lavoro notturno, svolgere attività pericolose o stressanti, effettuare turni lavorativi da mezzanotte alle sei del mattino.
La legge tutela la lavoratrice anche in caso di dimissioni presentate durante la gravidanza e fino al primo anno del bambino, per evitare che queste possano in realtà “celare” un licenziamento da parte del datore di lavoro.
La richiesta di dimissioni presentata in questo periodo va convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro competente per territorio. Non si è tenute al preavviso, ma anzi si ha diritto a ricevere l’indennità corrisposta in genere dall’azienda a chi è licenziato senza preavviso.
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