Toxoplasmosi in gravidanza: rischi, sintomi e cura

Alberta Mascherpa A cura di Alberta Mascherpa Pubblicato il 15/01/2024 Aggiornato il 16/01/2024

Toxoplasmosi in gravidanza? Anche se normalmente si tratta di un’infezione banale, nei nove mesi dell’attesa può rappresentare un fattore di rischio per il nascituro se non correttamente trattata. Ecco le regole per la prevenzione e i consigli per la cura dell’esperta.

Toxoplasmosi in gravidanza: rischi, sintomi e cura

E’ importante riconoscere e trattare la toxoplasmosi in gravidanza perché può passare al nascituro e rappresentare un fattore di rischio per la sua salute. Vediamo insieme all’esperta, la dottoressa Silvia Sansavini, ginecologa al Primus Forlì Medical Center di GVM, come si prende e cosa provoca, le norme da seguire per la prevenzione e come procedere con la cura quando nei nove mesi dell’attesa si risulta positive alla toxoplasmosi.

Che cosa è la toxoplasmosi, i sintomi e i rischi sul bambino

La toxoplasmosi è una malattia infettiva, o meglio una zoonosi, cioè un’infezione degli animali trasmissibile all’uomo, molto diffusa e, in genere, innocua. Circa il 30% della popolazione mondiale, infatti, risulta infetta dal toxoplasma gondii, uno dei parassiti patogeni più diffusi sulla terra. Va tenuto presente che nella quasi totalità dei casi, si parla addirittura del 90%, il paziente è del tutto inconsapevole di essere infetto: la malattia ha infatti un decorso benigno, in genere del tutto asintomatico o comunque con sintomi molto lievi e comuni ad altre malattie. Nella maggior parte dei casi, infatti, i sintomi della toxoplasmosi sono un lieve mal di gola e a qualche linea di febbre, ma nulla di più. Possono anche essere presenti linfonodi ingrossati e dolori muscolari anche persistenti. I sintomi compaiono solitamente dopo almeno un mese dal momento in cui si è stati infettati. Se il sistema immunitario è ben funzionante, una volta contratta l’infezione, il parassita viene poi tenuto sotto controllo per tutta la vita. Non ci si accorge quindi di aver contratto la toxoplasmosi che conferisce un’immunità permanente: chi è immune, e possiede quindi gli anticorpi positivi e stabili nel tempo, non rischia di infettarsi ulteriormente.

Il problema sta nel fatto che, in particolari condizioni, la toxoplasmosi può risultare pericolosa. E’ il caso ad esempio delle persone con un sistema immunitario compromesso, sieropositivi o con Aids oppure sottoposti a chemioterapia: la toxoplasmosi può provocare danni ai reni, al fegato, alle ossa, al sistema nervoso, determinare un’infiammazione della retina, un’infezione polmonare oppure uno stato confusionale. Anche nelle donne che aspettano un bambino la toxoplasmosi può rappresentare un pericolo. La toxoplasmosi in gravidanza, in modo particolare, può avere complicazioni e sequele particolarmente gravi non tanto per la donna quanto per il nascituro che può essere infettato nel grembo materno. L’infezione può, infatti, trasmettersi al feto attraverso la placenta (l’organo che ossigena e nutre il nascituro per nove mesi) e provocare lesioni anche serie. L’infezione da toxoplasma può interferire con il regolare sviluppo dell’embrione e del feto e svolgere un’azione che viene definita “teratogena” (ossia responsabile di malformazioni). Lo stesso effetto possono avere, per esempio, le radiazioni, alcune sostanze chimiche, determinati farmaci, il virus della rosolia e il citomegalovirus.

Come si prende la toxoplasmosi e cosa provoca

Il toxoplasma gondii, il protozoo responsabile dell’infezione, è presente in forma cistica nell’intestino del gatto e di altri animali che lo trasmettono nell’ambiente attraverso le feci. Ma il toxoplasma, nella fase biologica di spora, può esser presente anche nei muscoli di molti mammiferi e uccelli. Come si prende quindi la toxoplasmosi? Il contagio può avvenire attraverso diverse vie di trasmissione:

  • ingerendo alcuni alimenti come, ad esempio, la carne cruda o poco cotta, i salumi e gli insaccati inclusi salame, prosciutto crudo e carne secca oppure bevendo il latte di animali infetti
  • mangiando frutta e verdura cruda che sia stata contaminata
  • attraverso il contatto con gli escrementi infetti degli animali, soprattutto del gatto che possono aver contaminato anche il terreno in balconi, terrazzi e giardini

Un’ulteriore forma di trasmissione è rappresentata dal trapianto di organi e dalle emotrasfusioni senza dimenticare la trasmissione madre-figlio nel caso che l’infezione venga contratta in gravidanza.

Va tenuto presente che uno studio europeo ha verificato che il consumo di carne cruda o poco cotta rappresenta la principale fonte di contagio durante l’attesa.

Come accennato, la toxoplasmosi si presenta come una malattia lieve, con scarsi sintomi come una febbricola passeggere, un indolenzimento muscolare, un senso di stanchezza che si risolve nell’arco di pochi giorni. Ma la toxoplasmosi in gravidanza può invece provocare danni anche seri al nascituro che possono essere a carico del cervello, dei visceri e degli occhi. A seguito dell’infezione può determinarsi una diminuzione della crescita intrauterina, il nascituro può essere prematuro, può presentare ittero, polmonite, danni cerebrali. I danni possono riguardare anche la retina e portare fino alla cecità, ma possono presentarsi anche problemi neurologici e ritardo mentale.

Quando avviene il contagio

Il rischio che la toxoplasmosi in gravidanza passi la placenta per arrivare al feto è compreso tra il 18 e il 44%. Per avere un’idea più chiara basta qualche numero: in Italia nascono in media ogni anno 300-350 neonati che manifestano sintomi medio-gravi di infezione congenita da toxoplasmosi, un numero che sale a circa 3000 in tutta Europa. La trasmissione dell’infezione dalla mamma al feto (cosiddetta trasmissione verticale) avviene solo durante la fase acuta della malattia (fase parassitemica). La gravità dei danni dovuti alla toxoplasmosi in gravidanza è legata alla settimana di gestazione nella quale la futura mamma contrae l’infezione. Nel primo trimestre la probabilità di contrarre l’infezione è bassa e si aggira attorno al 17%: i danni al feto possono però essere molto importanti perché in questa fase si stanno formando tutti gli organi. Nell’ultimo trimestre di gravidanza le possibilità di infettarsi salgono al 65-90% ma il neonato non corre grossi rischi.

Cosa vuol dire essere positivi alla toxoplasmosi e come si cura

Dal momento che la toxoplasmosi si presenta spesso senza sintomi, è importante conoscere ad inizio gravidanza, e preferibilmente anche prima, se nel proprio sangue sono presenti gli anticorpi per l’infezione. Verificarlo è semplice: basta infatti un esame del sangue per effettuare il toxotest. Se si risulta positive significa che si è contratta l’infezione, che si è immuni e che il feto non corre nessun rischio. In questo caso non serve ripetere l’esame nel corso dei nove mesi di attesa. Se il risultato è negativo vuol dire che non c’è traccia degli anticorpi e che esiste quindi il potenziale rischio di contrarre la toxoplasmosi in gravidanza. Sarà perciò necessario ripetere il toxotest tutti i mesi fino alla fine della gravidanza e osservare una serie di precauzioni che vanno sotto il nome di profilassi. Per effettuare il toxotest è bene rivolgersi agli ospedali o ai laboratori di analisi ben attrezzati, in quanto si tratta di un esame altamente specialistico. Per ottenere il risultato occorre, infatti, una procedura molto articolata che si basa sull’esecuzione di diversi tipi di test sofisticati. Lo stesso test può anche mostrare una diversa sensibilità a seconda dei vari stadi dell’infezione. Ecco perché è necessario ripeterlo spesso nel corso dei nove mesi così da tenere costantemente monitorata la situazione.

Una volta accertata l’infezione, è necessario prescrivere alla futura mamma una cura di antibiotici a base di spiramicina che permette di tenere la malattia sotto controllo contenendo le possibilità che si trasmetta al feto. Nella scelta della cura, il medico tiene comunque in considerazione anche il mese di gravidanza durante il quale è avvenuto il contagio. Occorre poi prevedere degli accertamenti per verificare se l’infezione si è trasmessa al feto. Gli esami che si eseguono in questa fase possono essere:

  • sul liquido amniotico: in questo caso si effettua un’amniocentesi (cioè il prelievo del liquido amniotico attraverso un sottilissimo ago).
  • tramite ecografia da ripetere tutti i mesi.

Nel caso l’infezione si sia trasmessa al feto, può essere prescritta una cura a base di pirimetamina-sulfamidici, in aggiunta alla spiramicina. Va comunque tenuto presente che non esiste ancora un consenso unanime su come trattare la toxoplasmosi in gravidanza: la terapia antibiotica è la più usata ma non esistono studi che ne dimostrino la reale efficacia.

Cosa non mangiare

Contro la toxoplasmosi non esiste alcuna vaccinazione. L’unico rimedio per la futura mamma che non abbia contratto la malattia consiste quindi nell’effettuare controlli periodici, eseguendo, per esempio, il toxo-test ogni mese, e osservando alcune semplici misure precauzionali che riguardano soprattutto l’alimentazione. Come detto sopra, infatti, il principale fattore di rischio per la toxoplasmosi in gravidanza è rappresentato da quello che si consuma. Ecco un elenco di cose importanti per la futura mamma:

  • evitare di consumare carne cruda o al sangue; la carne dovrebbe essere mangiata sempre ben cotta, anche quella che si acquista surgelata.
  • evitare di mangiare uova crude, anche se fresche di giornata
  • eliminare dalla dieta gli insaccati, come il salame, le salsicce e i salumi come il prosciutto crudo
  • lavare accuratamente la frutta e la verdura, specialmente quella da consumare cruda come l’insalata (l’accorgimento vale anche per le insalate già pronte e lavate). Meglio disinfettare frutta e verdura con un’apposita soluzione da acquistare in farmacia su consiglio del medico.
  • sbucciare ortaggi e frutta, quando è possibile, prima di consumarli. Pelare quindi sempre le zucchine, le melanzane, le carote, i peperoni prima di cuocerli.
  • lavare con attenzione le mani prima, durante e dopo la preparazione di alimenti evitando il contatto con le mucose (cioè con la bocca e gli occhi) dopo aver toccato carne o altri alimenti crudi.

Le altre regole della prevenzione

Un’altra possibile fonte di contagio è rappresentata dal contatto con la terra di vasi, giardini e orti dove posso essere presenti feci di animali infatti. Le future mamme amanti del giardinaggio non devono però necessariamente privarsi del piacere di questo hobby. E’ importante però che usino i guanti e dopo averli tolti lavino con molta cura le mani prima di toccarsi gli occhi o la bocca. Restano validi poi i consigli di ordine generale che andrebbero sempre ben tenuti presente:

  • Prima del concepimento le donne che desiderano un figlio dovrebbero sottoporsi per tempo al toxotest.
  • Non appena accertato lo stato di gravidanza, è bene eseguire subito il toxotest. L’esame è gratuito in Italia.
  • In caso di risultato negativo (cioè di non immunità al toxoplasma), farsi indicare dal medico le precauzioni da adottare e ripetere tutti i mesi il test e l’ecografia.
  • Sottoporsi ai necessari controlli ed effettuare le cure indicate dal medico, nel caso si sia contratta l’infezione. Le cure sono importanti per tenere sotto controllo l’evoluzione della malattia e limitare le probabilità che si trasmetta al feto.
  • È importante che i neonati di donne che hanno contratto la toxoplasmosi in gravidanza siano seguiti dopo la nascita presso ambulatori specializzati dove siano presenti più specialisti, dall’ostetrica per la mamma al neonatologo, dall’infettivologo fino allo psicologo. 

Le precauzioni se c’è un gatto in casa

Tra i tanti dubbi che assalgono le mamme sulla toxoplasmosi in gravidanza c’è quello che riguarda gli animali domestici. La prima cosa da tenere presente è che il cane non espelle l’agente patogeno che causa l’infezione e non rappresenta quindi nessun pericolo. Diverso il discorso per il gatto che invece può trasmettere l’infezione. In ogni caso anche le donne che non sono immuni alla toxoplasmosi non devono necessariamente separarsi dal gatto o aver paura di eventuali graffi, ad esempio. Anche perché di recente la pericolosità nei confronti di questo animale si è di molto ridimensionata. Innanzitutto, perché i gatti vivono nella maggior parte dei casi in appartamento e mangiano cibo confezionato. L’attenzione massima va rivolta alla lettiera che va pulita ogni giorno: le cisti del parassita che determina la toxoplasmosi si schiudono infatti ogni tre giorni a temperatura ambiente e la pulizia quotidiana della lettiera serve quindi ad evitare ogni rischio. Per massima precauzione in ogni caso sarebbe bene che l’operazione di pulizia non venisse fatta dalla donna incinta; se questo non è possibile, è sufficiente che la futura mamma indossi guanti usa e getta durante la pulizia della lettiera e lavi accuratamente le mani al termine dell’operazione. Attenzione anche ad evitare che il gatto salga sui piani di cottura, i piani di appoggio in cucina e sulla tavola: se dovesse farlo, meglio disinfettare tutto con un prodotto apposito. Il gatto esce di casa? Può essere più pericoloso soprattutto se è abituato ad andare a caccia di topolini, uccelli e altri piccoli animali. Il pericolo maggiore comunque è rappresentato dai gatti randagi che non andrebbero mai toccati perché possono essere portatori dell’infezione. Attenzione anche a non toccare il terreno magari per raccogliere fiori o frutti in zone che si sanno essere frequentate da gatti: in ogni caso sempre meglio usare i guanti e lavare con cura le mani dopo aver toccato la terra. 

 

In breve

La toxoplasmosi è un’infezioni di poco conto che normalmente si manifesta con sintomi di lieve entità. Nelle donne in gravidanza però può essere pericolosa, soprattutto se contratta nel primo trimestre, determinando danni anche gravi al feto. Ecco perché è importante che ancora prima dell’attesa, le donne si sottopongano a un semplice test per verificare la presenza di anticorpi contro la toxoplasmosi. Qualora non fossero immuni, servono alcune semplici regole di igiene per evitare l’infezione che, nel caso venga contratta, viene curata con antibiotici specifici.

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