Nono mese di gravidanza

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Come cambia il corpo femminile

Alla fine di questo mese l’utero ha raggiunto la sua massima espansione: dalla sinfisi pubica (cioè la giuntura tra le ossa del pube) alla sua estremità superiore, misura tra i 36 e i 40 centimetri circa, mentre se lo si misura dall’ombelico alla sua estremità superiore si possono contare circa 16 – 20 centimetri.
Il bimbo nel pancione continua ad aumentare di peso, fino alle ultimissime settimane di gravidanza: di conseguenza, ormai non ha più molto spazio per muoversi all’interno dell’utero.

La pelle dell’addome è molto tesa

Nell’ultimo mese, parallelamente alla crescita notevole dell’utero, l’addome diventa sempre più sporgente. La pelle di questa zona, quindi, appare molto tirata e la futura mamma può talvolta sentire, a causa dell’eccessiva tensione, un senso di leggero fastidio alla cute.
I movimenti del bambino nel pancione possono essere percepiti anche dall’esterno: si possono avvertire, infatti, delle sporgenze in corrispondenza degli arti (per esempio, un braccino o un piedino che preme contro la pancia) o della testa del bambino.

Perdite di colostro dal seno

Il seno, oltre ad essere aumentato di volume, si sta preparando alla produzione di latte dopo la nascita. Dai capezzoli può uscire il colostro, un liquido denso e di colore giallastro, che rappresenterà il primo pasto del bimbo appena nato e tenderà a cambiare di giorno in giorno (fino all’arrivo della montata lattea) per consistenza e composizione chimica, in proporzione alle esigenze del neonato.
Si tratta di un latte più ricco di proteine e sali minerali e più povero di grassi rispetto a quello materno: inoltre, il suo apporto è prezioso perché contiene anticorpi (sostanze prodotte dal sistema di difesa dell’organismo) che svolgono un’azione protettrice sulla mucosa (il tessuto di rivestimento interno) dell’intestino molto importante perché alla nascita le difese del bebè non sono ancora completamente attive.

Compaiono le false contrazioni

Nel nono mese, in genere, si intensificano le contrazioni dette di “Braxton-Hicks” o false contrazioni: si tratta, semplicemente, degli “esercizi” che l’organismo della futura mamma esegue per prepararsi al travaglio e al parto.
Lo scopo di queste contrazioni, che si avvertono come un indurimento della pancia, è quello di provocare la modificazione del collo dell’utero, che normalmente durante la gravidanza si mantiene chiuso.
Nelle ultime settimane, stimolato dalle contrazioni, comincia a modificarsi, si ammorbidisce (cioè diventa più soffice e perde la consistenza che lo faceva stare chiuso) e si raccorcia.
Questi movimenti, che sono irregolari, con il passare del tempo possono modificarsi e, con l’avvicinarsi del momento del parto, si fanno più frequenti e regolari fino a trasformarsi nelle contrazioni che danno avvio al travaglio vero e proprio.
A differenza di queste ultime, le “false” contrazioni si attenuano o cessano del tutto cambiando posizione (per esempio, camminando un po’) o provando a sdraiarsi e rilassarsi un po’.

Emozioni: come superare le paure del parto

Il grande momento si avvicina e la futura mamma può sentirsi assalita da mille dubbi e preoccupazioni, divisa tra l’impazienza di stringere finalmente tra le braccia il proprio bambino e l’ansia legata alla paura di soffrire durante il parto o che ci possano essere problemi durante il travaglio. Ecco quali sono i timori più tipici e come affrontarli con maggiore serenità.

Saprò riconoscere l’inizio del travaglio?

Non bisogna preoccuparsi: i segnali che precedono la nascita del piccolo sono chiari e facilmente riconoscibili (dalle contrazioni alla perdita delle acque) e procedono a intervalli che, in genere, soprattutto se ci si trova alla prima gravidanza, lasciano tutto il tempo necessario per arrivare in ospedale.

Riuscirò a sopportare il dolore delle contrazioni?

È meglio non dare eccessivo ascolto ai racconti di amiche e parenti: la percezione del dolore, infatti, è diversa da donna a donna e ciascuna ha vissuto una storia personale che probabilmente sarà diversa da quelle di altre donne.
Può essere utile, piuttosto, frequentare un corso preparto, per tranquillizzarsi e apprendere le tecniche di respirazione da mettere in pratica al momento del parto. Anche un colloquio con il ginecologo per valutare la possibilità di ricorrere all’analgesia (cioè alle tecniche di parto indolore) durante il travaglio può essere indicato.

Sarò capace di spingere?

È tipica anche la paura della futura mamma di non essere in grado di spingere in modo efficace per far uscire il bambino. Altre donne temono che il piccolo non riesca a passare attraverso il bacino.
In realtà, i medici sono in grado di stabilire, a seconda delle proporzioni tra il feto e il bacino della donna, se il piccolo può affrontare il passaggio attraverso il canale del parto o se, invece, è necessario il cesareo.
Per quanto riguarda le spinte, poi, al momento del parto le ostetriche danno alla donna indicazioni valide su come effettuarle nel modo migliore.

Mi sentirò in imbarazzo?

Se già per molte donne le visite dal ginecologo rappresentano un grande disagio, il pudore si amplifica notevolmente al momento del parto: farsi vedere nude da sconosciuti, che controllano periodicamente la progressione della dilatazione del collo (la parte inferiore) dell’utero, può essere ancora più imbarazzante.
A questo può aggiungersi anche il timore di espellere le feci al momento delle spinte o di non sapersi controllare per il dolore. L’unica cosa da fare è pensare che le ostetriche e i medici della sala parto sono abituati a vedere tutto questo e, quindi, in genere riescono con la loro professionalità a non fare sentire la donna in imbarazzo.

Il mio bambino sarà sano?

Non c’è mamma che, dai primi mesi di gravidanza alla nascita, non si ponga questo quesito. Bisognerebbe però cercare di non farsi prendere eccessivamente dall’ansia: le ecografie e le indagini eseguite nei nove mesi servono proprio per valutare il corretto sviluppo del bimbo nel pancione.

La visita dal ginecologo

In occasione di questo controllo, il ginecologo può essere già in grado di stabilire se il parto potrà avvenire in modo naturale o, invece, sarà necessario il cesareo (per esempio, se il piccolo è podalico, cioè si presenta con i piedini o con il sederino per nascere).
Lo specialista controllerà anche la cervice o collo (cioè la parte inferiore) dell’utero, per verificare il livello di assottigliamento e ammorbidimento dei tessuti in vista del travaglio. Prima che esso abbia inizio, infatti, il collo è spesso, mentre in fase di travaglio si assottiglia sempre più fino al momento del parto.
Viene misurata anche la dilatazione cioè il grado di apertura della cervice: l’apertura massima cui si giunge, in media, è pari a 10 centimetri, e poco prima che inizi il travaglio può essere del tutto chiusa o aperta di uno-due centimetri.
Particolarmente utili in vista del parto sono anche i risultati degli esami eseguiti, che la futura mamma dovrà portare con sé. Se si desidera ricorrere all’epidurale durante il travaglio, occorre parlarne con il ginecologo per farsi prescrivere gli esami necessari.
Lo specialista ausculta, con un apposito strumento, il cuore del feto, che deve essere costante (circa 120-160 battiti al minuto). Inoltre, misura la pressione sanguigna della futura mamma, per verificare che i valori siano nella norma, e controlla l’accrescimento di peso.

Le analisi delle urine

Anche nell’ultimo mese di gravidanza, tra la 38a e la 40a settimana, occorre ripetere, secondo quanto previsto dal decreto legge n. 245 del 1998, questo controllo per escludere nella futura mamma la presenza di alcuni problemi: ossia la gestosi (una malattia caratterizzata, tra l’altro, dalla presenza di proteine nelle urine), diabete (un problema che si manifesta invece con la presenza di zuccheri nelle urine) o un’infezione batterica alle vie urinarie (il sistema di condotti che porta l’urina dal rene all’esterno).
Gli esami delle urine sono gratuiti (non si paga nemmeno il ticket) purché eseguiti in una struttura pubblica o convenzionata con il Servizio sanitario nazionale. Possono essere richiesti anche controlli più frequenti dal medico o dal ginecologo, ma in questo caso si paga il ticket.

Curiosità: il travaglio è più lungo con i maschietti

Sembra che le differenze tra maschietti e femminucce si notino anche in sala parto: il tempo necessario per far nascere un bimbo, infatti, è mediamente più lungo rispetto a quello che serve per mettere al mondo una bambina.
Se la futura mamma è alla prima gravidanza e non vi sono complicazioni che impediscano il parto naturale (per esempio se il piccolo si presenta per nascere con il sederino o con i piedini anziché con la testa), il travaglio di un maschietto dura circa 24 minuti in più: in totale, quindi, per far nascere un bimbo sono necessari 376 minuti, contro i 352 richiesti per una bimba.
Sembra anche che con i maschietti si debba ricorrere con maggiore frequenza al forcipe o alla ventosa (strumenti utilizzati, se pur raramente, per agevolare la fuoriuscita del bebè) o al cesareo, il che dipende spesso anche dal fatto che in genere i maschietti sono più grossi delle femminucce.

Perché tarda a nascere?

Non è ancora ben chiaro quale sia il meccanismo alla base dell’avvio del travaglio di parto. Quello che comunque è certo è che questo momento è stimolato sia dal piccolo in utero sia dalla mamma.
Nel bambino sembra essere il cortisolo (un ormone prodotto dalle ghiandole surrenali) a fornire alla mamma, attraverso il sangue e il liquido amniotico, il messaggio di far partire le contrazioni uterine.
Anche nella gestante, però, si verificano importanti modifiche: il collo (cioè la parte inferiore) dell’utero si dilata e l’utero comincia a contrarsi. Inoltre, si assiste a un cambiamento di ormoni, con la caduta degli estrogeni (ormoni tipici della gravidanza), la comparsa di ossitocina e, a livello locale, di prostaglandine.
Quello che però non è ancora chiaro è se siano questi ormoni a dare il via per primi o se invece essi si attivino solo in risposta al cortisolo del bambino.

È vero che … nell’ultimo mese bisogna astenersi dai rapporti sessuali?

Contrariamente a quanto si credeva un tempo, oggi non si ritiene più che nell’ultimo mese di gestazione sia meglio sospendere i rapporti sessuali, a meno che vi sia un rischio oggettivo di parto pretermine (prima cioè della 37a settimana, come in caso di gravidanza gemellare).
Se tutto procede bene, quindi, e la donna se la sente, non c’è nessun motivo per smettere di fare l’amore. A questo proposito, anzi, è interessante sapere che, presso alcuni popoli, vi è l’abitudine addirittura di intensificare i rapporti negli ultimi giorni di gestazione, proprio per evitare che essa si protragga troppo.
Dietro l’usanza di queste civiltà vi è un’intuizione che ha ricevuto conferme scientifiche: nel liquido seminale, infatti, sono presenti le prostaglandine, particolari sostanze utilizzate anche per indurre il travaglio di parto.
In conclusione, fare l’amore nelle ultime settimane non provoca il parto pretermine, ma può essere utile per impedire che la gravidanza si protragga troppo oltre la data presunta.

Una domanda al ginecologo

Sono preoccupata perché ho i capezzoli piccoli e poco sporgenti: riuscirò ugualmente ad allattare?
Ai fini di una corretta suzione da parte del neonato la forma dei capezzoli può essere importante, ma non bisogna preoccuparsi eccessivamente perché ci sono diverse possibili soluzioni.
Se i capezzoli sono poco sporgenti, o addirittura retratti (in questo caso rientrano al di sotto dell’areola, cioè del tessuto circostante), il ginecologo e l’ostetrica possono provare vari metodi che aiutino a far trovare a questa parte del seno la forma ideale per l’allattamento.
Per rendersi conto dell’effettiva capacità di far sporgere un capezzolo piatto o rientrante si può provare con la compressione dell’areola fra l’indice e il pollice, alla base del capezzolo: se si riesce a farlo sporgere, con ogni probabilità il problema si risolverà con la suzione.
In ogni caso, esistono in commercio specifici paracapezzoli che si adattano alla forma dei capezzoli facilitando le poppate.

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Fonti / Bibliografia

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