Epatite B bambini: sintomi, diagnosi e cura

Alberta Mascherpa A cura di Alberta Mascherpa Pubblicato il 26/06/2025 Aggiornato il 26/06/2025

La prevenzione attraverso la vaccinazione è la strategia più efficace per evitare l’epatite B che, se contratta da piccoli, può diventare cronica e provocare danni al fegato in età adulta.

Epatite B bambini: sintomi, diagnosi e cura

Il virus dell’epatite B causa un’infezione che, soprattutto se contratta da neonati, può degenerare in una forma cronica che può portare a una progressiva compromissione del fegato, con danni anche molto gravi a carico dell’organo stesso, ma anche a livello neurologico.

Asintomatica nella stragrande maggioranza dei neonati, l’epatite B si manifesta nel 30/50% dei bambini sopra i cinque anni con dolori articolari, mal di testa e un’eruzione cutanea pruriginosa.

Non esiste cura e per questo la prevenzione è basilare. Dal momento che può esserci una trasmissione del virus da madre a figlio, è importante sottoporsi allo screening nel primo trimestre di gravidanza, così da procedere alla profilassi neonatale. Per i nati da madri sane è obbligatoria la vaccinazione in tre dosi durante il primo anno di vita.

Che cosa è l’epatite B

L’epatite B è una malattia infettiva dovuta al virus HBV. Esiste una forma di epatite acuta che in alcuni casi può essere molto grave, tanto da essere definita fulminante e provocare danni irreversibili al fegato. Si tratta comunque di un’evenienza rara.

Più frequente invece che l’epatite B acuta si tramuti in cronica. Questo succede quando l’infezione dura più di sei mesi. In questi casi il protrarsi della malattia può causare un danno a poco a poco sempre più significativo al fegato che perde le sue funzioni: aumentano le tossine circolanti nell’organismo e questo può portare a una compromissione neurologica. Inoltre l’epatite B cronica si associa a una maggior propensione allo sviluppo di un tumore al fegato.

Perché è pericolosa nel neonato

Le possibilità che un’epatite B acuta si tramuti in una cronica dipendono dall’età di chi la contrae. Mentre circa il 90/95% delle infezioni contratte da adulto si risolvono senza che l’infezione diventi cronica, il 90% dei neonati che si infettano sono destinati a sviluppare un’epatite B cronica.

Una percentuale che decresce man mano fino al 25% quando l’epatite B interessa i bambini in età prescolare per arrivare al 10-5% nei bambini in età scolare, come nel caso degli adulti. E’ stato verificato che il rischio di sviluppare danni al fegato come una cirrosi oppure di avere un tumore è massima negli adulti che hanno contratto l’infezione da neonati e per questa ragione è basilare mettere in atto misure preventive per evitare che un neonato si infetti.

Come si trasmette

Il virus HBV che causa l’epatite B viene trasmesso tramite il contatto con sangue infetto e per via sessuale attraverso lo sperma e le secrezioni vaginali. L’evenienza di un contagio tramite sangue nei bambini è possibile quando uno strumento che ha toccato del sangue infetto, come ad esempio uno spazzolino, una forbicina, un tronchesino, un ago, provoca nel piccolo una lesione sanguinante o viene a contatto di un’area dove è presente un sanguinamento come nel caso delle gengive.

Ma come può infettarsi invece un neonato? Attraverso la trasmissione madre-figlio . E’ possibile, infatti, che una donna abbia un’epatite B cronica senza saperlo dal momento che in genere l’infezione è asintomatica. Si calcola che in Italia siano circa 500 mila i portatori del virus. Il virus di cui la madre è portatrice può passare al figlio in tre modalità differenti:

  • durante la gravidanza per trasmissione transplacentare: il virus attraverso la placenta passa dal sangue della madre a quello del feto
  • al momento del parto, sia vaginale che con cesareo
  • in allattamento: è l’evenienza più rara che si presenta nel caso in cui la madre abbia ragadi o altre particolari lesioni che sanguinano a livello del capezzolo

Sintomi

L’infezione da virus dell’epatite B può manifestarsi con un panorama di sintomi molto articolato. Nella fase acuta dell’infezione possono essere presenti nausea e vomito, febbre anche se non elevata, malessere generalizzato e ittero, la colorazione giallastra della pelle.

In alcuni casi si possono avere dolori, arrossamenti e tumefazioni a livello delle articolazioni, problemi ai reni, abbassamento del numero di piastrine presente nel sangue. Nell’età pediatrica la maggior parte delle infezioni da epatite B sono asintomatiche. La presenza o meno di una sintomatologia è condizionata dall’età: solo circa l’1% dei bambini fino a un anno manifesta sintomi, percentuale che si sposta tra 5 e 15% nei piccoli tra 1 e 5 anni e arriva al 50% sopra i 5 anni di età.

Quando l’infezione da virus dell’epatite B si presenta in fase acuta durante l’età pediatrica tende a manifestarsi con mal di testa, dolori articolari, ma soprattutto con un disturbo cutaneo che va sotto il nome di acrodermatite di Gianotti-Crosti caratterizzato dalla presenza di piccole protuberanze pruriginose rosse, rosa o violacee.

Diagnosi e cure

Il virus dell’epatite B ha un tempo piuttosto lungo di incubazione; tra il contagio e lo sviluppo della malattia passano in media tre mesi che possono arrivare in alcuni casi anche fino a sei. Il pediatra può diagnosticare un’infezione da epatite B nei bambini innanzitutto attraverso il colloquio con i genitori e la visita del piccolo paziente.

Serve però sempre la conferma attraverso un esame del sangue che riveli la positività al virus, presente in tutte le fasi, anche in quelle iniziali, dell’infezione. L’infezione acuta non viene trattata con nessun farmaco. Qualora si confermi un’infezione cronica si può procedere con l’impiego di un trattamento antivirale per arginare il pericolo di danni al fegato. E’ auspicabile però che si eviti di arrivare a questa situazione nei bambini attraverso una prevenzione da neonati. In ogni caso il trattamento dell’epatite B cronica è demandato a centri specializzati.

Il vaccino

Visto l’elevato rischio di cronicizzazione della malattia con conseguenze pericolose per il fegato, la prevenzione dell’epatite B nei bambini rimane la miglior scelta per tamponare questa evenienza.

Il vaccino contro il virus dell’epatite B viene considerato infatti efficace al 95% nella prevenzione della malattia. In Italia dove la vaccinazione anti-epatite B è obbligatoria dal 1991 , il rischio di tumore al fegato a seguito di un’infezione cronica da epatite B si è ridotto del 70%.

Il vaccino anti-epatite B può essere somministrato sia da solo che combinato con il vaccino contro l’epatite A: questa è in  genere la procedura che si adotta per gli adulti non vaccinati da piccoli che ricorrono al vaccino perchè particolarmente esposti al rischio di contrarre la malattia. Nei neonati invece il vaccino dell’epatite B viene somministrato combinato con altri vaccini nella cosiddetta vaccinazione esavalente (agisce in funzione di prevenzione di tetano, difterite, pertosse e poliomielite, epatite B ed Haemophilus influenzae di tipo B): sono previste tre dosi nel primo anno di vita.

Nel caso di neonati che hanno una madre con infezione da epatite B è prevista una dose supplementare di vaccino alla nascita somministrata insieme alle immunoglobuline specifiche anti-epatite B. Il ciclo vaccinale per questi bambini si completa con altre 3 dosi di vaccino somministrate a 4 settimane, a 8 settimane e a 11-12 mesi.

Per quanto riguarda la sicurezza, va tenuto conto che la reazione grave da vaccino si registra in un caso su 1.1 milione di dosi; un piccolo su quattro può avere un dolore nel punto di somministrazione del vaccino, che compare in genere 48 ore dopo l’inoculazione e scompare al massimo in un paio di giorni; un bambino su 15 può avere febbre.

La prevenzione in gravidanza

La profilassi somministrata ai nati da madri con epatite B cronica riduce il tasso di trasmissione dal 90% a meno del 10%. In ogni caso nei tre mesi successivi alla fine del programma vaccinale i piccoli vengono sottoposti a un controllo tramite esame del sangue per verificare la presenza di anticorpi contro il virus che segnalano una protezione dall’infezione. Può succedere però, anche se in pochi casi, che un neonato risulti infetto nonostante la profilassi con il vaccino.

Questo è dovuto al fatto che la madre può avere un elevato numero di particelle virali nel sangue. Non a caso è importante che nel primo trimestre di gravidanza la donna si sottoponga allo screening per il virus dell’epatite B. Qualora si registri la presenza di un elevato numero di particelle virali può essere utile che la futura mamma assuma tra la 24esima e la 28esima settimana di gravidanza un antivirale, sempre sotto controllo medico, così da ridurre la concentrazione del virus nel sangue e limitare i rischi di contagio per il neonato.

Non è necessario invece programmare un cesareo dal momento che non ci sono prove che questa procedura presenti un minor rischio di trasmissione del virus rispetto al parto vaginale. Via libera anche all’allattamento, facendo attenzione che non siano presenti lesioni sanguinanti sul capezzolo.

 
 
 

In breve

L’epatite B è un’infezione che, se contratta da neonati, può diventare cronica e causare nel tempo danni anche molto importanti al fegato. Non esiste cura e per questo è basilare la prevenzione attraverso lo screening nel primo trimestre di gravidanza, così da accertare che la madre non abbia un’infezione cronica trasmissibile al feto, e il vaccino obbligatorio in tre dosi durante il primo anno di vita. 

 

Fonti / Bibliografia

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