La rapa – Fiaba

Redazione A cura di “La Redazione” Pubblicato il 27/05/2015 Aggiornato il 27/05/2015

Quanta fortuna può derivare da… una rapa. Questa fiaba dei Fratelli Grimm insegna che nella vita le cose possono cambiare anche molto velocemente...

La rapa – Fiaba

La rapa

C’era una volta una coppia di due fratelli che erano entrambi soldati, ma l’uno era ricco e l’altro povero. Il povero, per superare il disagio, lasciò l’uniforme e si mise a fare il contadino. Dissodò e zappò il suo pezzetto di terra e seminò delle rape. La semente germogliò e crebbe una rapa che diventò grande e florida. Ingrossava a vista d’occhio e non finiva mai di crescere, sicché‚ la si sarebbe potuta chiamare principessa delle rape perché‚ mai se n’era vista una simile, né mai la si rivedrà. Finì coll’essere così grossa che occupava da sola un intero carro e ci volevano due buoi per tirarla. Il contadino non sapeva che cosa farsene, né sapeva se la rapa fosse la sua fortuna o la sua disgrazia. Infine pensò: “Se la vendi, cosa vuoi mai ricavarne? Se invece vuoi mangiartela, quelle piccole vanno bene lo stesso; la cosa migliore è portarla al re e fargliene omaggio”. Così la caricò sul carro, attaccò i due buoi, la portò a corte e la regalò al re. “Che razza di stranezza è questa? – disse il re. – Di cose bizzarre ne ho viste tante, ma un simile mostro non lo avevo ancora mai trovato: da che seme può esser nata? Oppure riesce soltanto a te, e tu sei un favorito della fortuna?” “Ah no! – disse il contadino -non sono un favorito della fortuna; sono un povero soldato che, non potendo più campare, ha attaccato al chiodo l’uniforme e si è messo a coltivare la terra. Ho anche un fratello che è ricco, e voi, Maestà, lo conoscete bene; io invece, poiché‚ non possiedo nulla, sono dimenticato da tutti”. Allora il re s’impietosì e disse: “Ti toglierò dalla miseria e ti farò dei doni che ti metteranno alla pari del tuo ricco fratello”. Così gli regalò un mucchio d’oro, campi, prati e greggi e lo fece così ricco, che la ricchezza del fratello non era nulla a paragone della sua. Quando questi venne a sapere quello che il fratello aveva guadagnato con una sola rapa, l’invidiò e si mise a rimuginare come potesse procurarsi anche lui una simile fortuna. Ma egli volle fare le cose con maggiore avvedutezza, prese oro e cavalli e li portò al re, convinto di riceverne in cambio un dono molto più grande. Infatti se suo fratello aveva ottenuto tanto per una rapa, cosa non sarebbe toccato a lui per quelle belle cose! Il re accettò il dono e disse che, in cambio, non avrebbe saputo dargli cosa più rara e preziosa della grossa rapa. Così il ricco dovette caricare sul carro la rapa del fratello e portarsela a casa. E qui non sapeva su chi sfogare la sua ira e la sua collera, finché gli vennero dei pensieri cattivi e decise di uccidere il fratello. Assoldò dei sicari che fece appostare in agguato, poi andò dal fratello e gli disse: “Caro fratello, so di un tesoro nascosto: andiamo a prenderlo insieme e dividiamocelo”. All’altro l’idea piacque e lo accompagnò senza sospettare nulla. Ma come uscirono gli assassini gli si precipitarono addosso, lo legarono e volevano impiccarlo a un albero. In quel mentre risuonò da lontano un canto e uno scalpitio, sicché‚ essi, spaventati, ficcarono in tutta fretta il loro prigioniero nel sacco, lo issarono su di un ramo e fuggirono. Egli invece là dentro si diede da fare finché riuscì a bucare il sacco e a mettere fuori la testa. Ma il viandante non era altri che un giovane scolaro, che cavalcava nel bosco cantando allegramente la sua canzone. Quando l’uomo in cima all’albero si accorse che sotto stava passando qualcuno, gridò: “Salute, alla buon’ora!”. Lo scolaro si guardò attorno, senza sapere donde venisse la voce, e alla fine disse: “Chi mi chiama?”. E quello rispose dalla cima dell’albero: “Alza gli occhi! Sono quassù nel sacco della sapienza; in poco tempo ho imparato tali cose, che a confronto qualsiasi scuola non val nulla; fra un po’ avrò imparato tutto e allora scenderò e sarò più sapiente degli altri uomini. Conosco le costellazioni e i segni celesti, lo spirare di tutti i venti, la sabbia del mare, la cura delle malattie, le proprietà delle erbe, gli uccelli e le pietre. Se tu fossi qui dentro, sentiresti che meraviglia viene da questo sacco!”. All’udire tutto questo, lo scolaro si meravigliò e disse: “Benedetta sia l’ora in cui ti ho incontrato! Non potrei entrarci anch’io per un po’?”. Ma quello in cima rispose quasi controvoglia: “Pagando e pregando ti lascerò venirci un pochino, ma devi aspettare un’ora: c’è ancora un pezzo che devo imparare”. Dopo avere atteso un po’, lo scolaro si annoiò e lo pregò di lasciarlo entrare nel sacco: la sua sete di sapienza era troppo grande. Allora quello in cima finse di cedere e disse: “Perché io possa uscire dalla casa della sapienza, devi allentare la fune per far venire giù il sacco, così ci entrerai tu”. Lo scolaro lo fece scendere, slegò il sacco, lo liberò e poi gridò: “Adesso tirami su in fretta!” e voleva entrare nel sacco dritto in piedi. “Alt! – disse l’altro – così non va! – Lo prese per la testa, lo mise nel sacco a gambe in su, lo legò e, con la fune, issò sull’albero il discepolo della sapienza, facendolo penzolare per aria; poi disse: “Come va, camerata? Ecco che ti senti già venire la sapienza: è un’ottima esperienza. Sta’ lì tranquillo, finché‚ diventi più furbo”. Poi montò sul cavallo dello scolaro e se ne andò.

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