Il bambino dice le parolacce: ecco come farlo smettere

Paola Risi A cura di Paola Risi Pubblicato il 20/02/2023 Aggiornato il 20/02/2023

È in genere con grande sconcerto che i genitori si accorgono che il proprio bambino dice le parolacce, spesso senza neanche comprenderne il significato, ma gettando comunque in imbarazzo mamma e papà. Ecco alcuni consigli per affrontare questa spinosa questione

il bambino imparare a dire le parolacce all'asilo e a scuola

Di solito è in corrispondenza con l’ingresso alla scuola materna che le parolacce fanno la loro comparsa sulla bocca del bambino: quasi sempre la prima esperienza di vita sociale allargata del piccolo si associa anche alla scoperta di “parole speciali” che, inizialmente, accendono solo la curiosità del bambino.

Perché il bambino dice la parolacce

Nella maggior parte dei casi il bambino non ne comprende il significato ma le ripete soprattutto per imitare i compagni che vi ricorrono abitualmente, di solito i più grandicelli che, come è naturale, esercitano sui più piccoli un forte potere di attrazione. Solo in seguito, accorgendosi delle reazioni di scandalo degli adulti, il bimbo comincerà a scoprirne il senso e scoprirà il potente effetto che sono in grado di produrre.
La reazione che la pronuncia di una parolaccia può provocare, infatti, non fa che aumentare il fascino di questi vocaboli agli occhi del bambino che, in questa fase iniziale, viene spesso indotto a usarle più di frequente proprio allo scopo di trasgredire le regole degli adulti e in tal modo sentirsi più “grande”.
Confrontandosi giorno per giorno con gli altri bambini all’asilo e poi a scuola avrà anche modo di sperimentare come le parolacce possano rappresentare un’arma di cui servirsi in alternativa a calci e pugni nel corso di una lite.

Quali sono le parolacce più comuni nel bambino

Un’altra funzione che il turpiloquio svolge è quella di offrire al piccolo una valvola di sfogo, un strumento per esprimere le pulsioni profonde connesse alle successive tappe della sua maturazione psicofisica:

  • verso i 2-3 anni, età della cosiddetta “fase anale”, in cui il piccolo raggiunge il controllo degli sfinteri (ovvero la capacità di trattenere urina e feci), vengono pronunciate quasi sempre le parolacce che riguardano le produzioni del proprio corpo (cacca);
  • fra i 3 e i 7 anni l’interesse del bimbo si trasferisce sulle parole connesse alla sfera della sessualità e, in particolare, agli organi genitali. Nel corso di questi anni (“fase fallica”) il bambino scopre, infatti, la differenza tra maschi e femmine e avvia la progressiva strutturazione della propria identità sessuale.
Come comportarsi con un bambino che dice le parolacce?

Per cercare di limitare il ricorso alle parolacce, è consigliabile anzitutto adottare un atteggiamento chiaro e inequivocabile sin dalla prima loro comparsa: in quell’occasione al bambino andrebbe spiegato con calma e decisione che si disapprova quel modo di esprimersi. Fondamentale è, però, rafforzare questa posizione con la coerenza del proprio comportamento: non si può pretendere che il piccolo non dica le parolacce se poi sono proprio mamma e papà, ovvero i suoi principali modelli di riferimento, a ricorrervi abitualmente. Un’altra importante regola da seguire consiste nell’evitare reazioni eccessivamente scandalizzate: ciò rischia, infatti, di amplificare il potere e la forza di attrazione delle parolacce spingendo il bimbo a ripeterle.

 

 
 
 

In sintesi

Dove impara il bambino a dire la parolacce?

Spesso sono le prima esperienze in comunità (scuola materna) a far conoscere al bambino le parolacce, perché magari le sente pronunciare dai bambini più grandi. Anche la tv è comunque “maestra” di parolacce. Perciò bisognerebbe evitare che il bambino segua programmi televisivi o veda film che propongano comportamenti e un linguaggio inadeguati alla sua età: ciò lo spingerebbe a credere che nel mondo degli adulti sia del tutto normale e abituale usare le parolacce rendendo più difficile il rispetto delle regole indicate al riguardo da mamma e papà.

 

Fonti / Bibliografia

  • anale nell'Enciclopedia TreccaniIn psicologia fase a.: seconda fase dello sviluppo libidico, collocabile tra i due e i quattro anni di vita, durante la quale il bambino scopre il piacere del passaggio delle feci attraverso lo sfintere anale. Secondo Freud, la defecazione e la ritenzione delle feci diventano modi di relazione affettiva, ed è in questa fase che si costituisce il binomio attività-passività, orientate in senso sadico (dominio e distruzione dell’oggetto amato) la prima ed erotico (erotismo a.) la seconda.
  • processo di sviluppo in psicoanalisi in "Dizionario di Medicina"processo di sviluppo in psicoanalisiStrutturazione progressiva della personalità. Molte sono le ipotesi relative allo sviluppo e al funzionamento mentale normale e patologico elaborate dalle diverse teorie psicoanalitiche. Sigmund Freud riteneva che l’individuo nel passaggio dall’infanzia all’età adulta procedesse da un’organizzazione primaria a una più complessa, da un funzionamento elementare a uno sempre più articolato. Tutti i fenomeni psichici – dalle emozioni al linguaggio, al sogno – h
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