Quando inizia a parlare un bambino: le prime parole e cosa aspettarsi

Roberta Raviolo A cura di Roberta Raviolo Pubblicato il 08/09/2025 Aggiornato il 08/09/2025

Mamma, papà, palla e altri termini legati al quotidiano e all'affettività sono le prime parole che il bambino pronuncia, prendendo dimestichezza col linguaggio dai 18-20 mesi in poi. Ne parliamo con Valentina Costanzo, psicologa, psicoterapeuta e insegnante.

sviluppo linguaggio

Il momento in cui un bambino pronuncia le prime parole è atteso con gioia e sorpresa dalla famiglia. Dai cinque-sei mesi in cui si esercita con monosillabi, fino ai due anni quando compone semplici frasi, il piccolo attraversa una complessa e fondamentale fase evolutiva del sistema nervoso e cognitivo, che lo porta ad entrare in comunicazione con gli altri.

Il periodo delle prime parole è abbastanza variabile anche tra fratelli, ma ci sono tappe comuni che tutti i bambini dovrebbero raggiungere. Gli adulti possono seguire i bambini nella maturazione delle capacità comunicative con semplici comportamenti.

A quanti mesi le prime parole?

I bambini entrano in contatto con i suoni e con il linguaggio quando si trovano ancora nell’utero materno. Attraverso la placenta percepiscono il battito del cuore della mamma, il rumore prodotto dal flusso del sangue e dagli organi digestivi.

Imparano a riconoscere la voce della mamma e i toni che lei usa, ma anche il timbro di voce delle persone che sono presenti più spesso, come il papà o i nonni. Sembra addirittura che, quando il feto ascolta spesso una musica o una canzoncina, riesca a riconoscerla dopo la nascita. Se non sussistono problemi, l’udito è il senso più sviluppato.

Da zero a 4 mesi

In questa fase il bambino, anche se sembra che trascorra la maggior parte del tempo dormendo, è in comunicazione con il mondo esterno. Esprime le sue emozioni e le sue necessità (fame, stanchezza, dolore) con diversi toni di pianto e, con il passare delle settimana, inizia a voltare il capo nella direzione da cui provengono suoni e parole.

Non è vero che il neonato non capisce. È giusto parlargli perché questo stimola il suo linguaggio, nei mesi che verranno.

Da 5 a 7 mesi

In questo periodo ha inizio la fase della lallazione o, più esattamente, della lallazione canonica. Il bambino inizia a ripetere monosillabi composti da una consonante e da una vocale, solitamente la A e la E, che sono le più immediate per il suo apparato fonatorio in via di formazione.

Esempi di lallazione canonica sono la-la-la, ba-ba-ba, te-te-te, ma-ma-ma. Si tratta di semplici esercizi che, al momento, non hanno alcuna connessione con parole vere e proprie, anche se si potrebbe pensare che il piccolo stia già cercando di pronunciare parole come mamma e papà. Infatti a questa età il bimbo non è ancora in grado di collegare un suono al significato di una parola.

Da 8 ai 12 mesi

Dagli 8 mesi, con qualche differenza tra bimbo e bimbo, inizia la seconda fase della lallazione, detta lallazione variata. Il piccolo inizia infatti a utilizzare anche le altre vocali I, O e U e ad aumentare il numero delle consonanti, producendo suoni leggermente più complessi.

Attorno all’anno di età, le capacità del bambino si evolvono sempre di più e lui inizia a produrre suoni che possono somigliare a parole di riferimento che ascolta nel suo quotidiano, per esempio “ala” è la palla, “ato” il fratellino e così via. In questa fase il bambino dovrebbe comprendere parole e le sa associare al loro significato. Per esempio manifesta soddisfazione se gli si dice “c’è la pappa”, gioia quando sente che “arriva la mamma”.

La sua comunicazione è però ancora molto basata sui gesti, ecco perché indica gli oggetti con il dito, saluta e manda baci con la manina.

A 15-18 mesi

Il bambino inizia ad associare un suono a un significato e apprende qualche parola, anche se in numero molto limitato. Può essere in grado di dire le prime parole, spesso solo due o tre. In questa fase è però molto attivo il baby talk, un linguaggio molto personale del piccolo costituito da suoni storpiati, vocine, gridolini.

Il bimbo non è in grado di chiamare gli oggetti con il loro nome, ma spesso con un’onomatopea, per esempio brum per alludere all’automobile, bau per indicare il cane. È bene precisare che in questa fase alcuni bambini non conoscono nemmeno una parola, altri ne sanno già due o tre.

Esistono grandi differenze tra piccoli della stessa età, quindi è bene non fare confronti nemmeno tra fratelli. L’evoluzione che presiede al linguaggio è infatti molto variabile.

Da 18 a 23 mesi

Secondo gli esperti, durante questa età un bambino dovrebbe essere in grado di pronunciare almeno una ventina di parole, con normali differenze tra un piccolo e l’altro. Comprende però un numero di termini molto maggiore e sa rispondere a semplici inviti che gli sono rivolti, per esempio “saluta la nonna”, “corri da papà” e così via. In questo periodo, il bambino potrebbe essere in grado di comporre semplici frasi, per esempio “vuole pappa”, “chiama mamma” già con un significato compiuto.

Dai 24 mesi

A due anni circa si verifica una rapida evoluzione delle capacità linguistiche del bambino, che in questa fase attraversa una maturazione anche di tipo motorio. Infatti sa camminare con sicurezza e migliora le sua capacità di compiere il movimento fine.

Il sistema nervoso, che presiede alla formazione delle parole e alla comprensione del significato, si sviluppa anche sulla scorta degli stimoli che gli arrivano dall’esterno, per esempio con l’inserimento al nido. Il bambino a due anni conosce circa 50 parole, ma è in grado di comprenderne almeno il doppio. Inizia a produrre frasi più lunghe e articolate, come “ti voglio bene mamma”, “vado a prendere la palla” e così via.

Quali sono le prime parole

Ma quali sono le prime parole che pronuncia un bambino? Secondo studi effettuati, nella maggior parte delle lingue del mondo sono proprio mamma e papà. Mamma è la prima parola pronunciata in ben 12 lingue, mentre papà è la più frequente in sette lingue. Questa frequenza si spiega per diverse ragioni.

In primo luogo, i suoni che compongono queste parole sono quelli più spontanei e naturali, con vocali larghe e consonanti che si riescono a pronunciare facilmente per l’allenamento di labbra, lingua e palato, le stesse strutture utilizzate nella suzione. Inoltre, sono le parole più cariche di significato affettivo, perché indicano le figure di riferimento per il piccolo.

Come stimolare il bambino secondo la terapeuta Valentina Costanzo

Con semplici comportamenti quotidiani, i genitori e, in generale, gli adulti che sono a contatto con il bambino durante la giornata possono aiutarlo a sviluppare le sue competenze linguistiche e ad arricchire poco alla volta il suo vocabolario.

È importante mettere in atto questi consigli senza ansia e senza fretta di rendere il bambino più abile e performante.

Proporre libri, canzoncine, filastrocche

Questi strumenti condivisi attirano attenzione e interesse del bimbo e in questo modo arricchiscono le sue conoscenze linguistiche, il vocabolario e migliorano la pronuncia. “Esistono molte iniziative, per esempio Nati per leggere che propone letture di albi per l’infanzia fin dai primi mesi”, suggerisce la dottoressa Valentina Costanzo, psicologa, psicoterapeuta e insegnante a Milano. “Anche i pediatri, le educatrici, i professionisti sanitari che lavorano con l’infanzia e le biblioteche possono fornire utili riferimenti in merito”.

Correggere senza esagerare

“Per non innescare emozioni di imbarazzo, vergogna, frustrazione, è consigliabile non correggere in modo esplicito il bambino, ma riformulare in modo corretto la parola o frase pronunciata in modo non ancora corretto o completo” aggiunge l’esperta. “Per esempio, di fronte alla richiesta “Voio atte”, i genitori possono riformulare con “vuoi il latte? Certo, prendiamo il latte. Beviamo il latte a tavola”. In questo modo viene formulata correttamente la richiesta e viene applicata anche la tecnica delle tre ripetizioni.

La parola latte viene ripetuta per tre volte, il numero giusto per far sentire più volte e subito la parolina corretto al bambino, aiutandolo nella memorizzazione. Si può anche supportare questo processo indicando l’oggetto di cui si sta parlando. È normale che il piccolo nei primi tempi non pronunci le parole nel modo giusto, ma è meglio non insistere troppo, in modo severo, sul come deve fare.

Parlare in modo corretto e chiaro

Il “bambinese” è il linguaggio infantile che i piccoli utilizzano perché devono ancora migliorare le loro capacità di pronuncia, ma non è il caso di imitarli nella convinzione di essere più chiari.

Molto utile è utilizzare i termini corretti e specifici da subito, quando sono ancora neonati per indicare gli oggetti. Per esempio è bene dire “cane” anziché “cagnolino”.

Inserire termini specifici

“Se con il bimbo si nota un albero ed è sicuro che è un pino, è bene chiamarlo pino e non semplicemente albero” prosegue la dottoressa Costanzo. “In questo modo il linguaggio del bambino inizia ad essere molto ampio anche se ancora non parla, dal momento che è esposto a stimoli diversi e ricchi”. Questo ha un impatto sull’aspetto cognitivo ed emotivo. Più il linguaggio è ricco, più facilmente il bimbo sa identificare e descrivere come si sente, cosa prova, cosa gli accade ed entrare più facilmente in relazione con gli altri. 

Spiegare quello che si fa insieme

Quando si gioca con i bambini o si fa qualcosa con loro in casa o in giardino, si può mettere in atto un minimo di comunicazione verbale che coinvolge e insegna. Per esempio: “adesso prendiamo le costruzioni e facciamo insieme una casa”, “aiutami a dare l’acqua ai fiori così crescono e diventano belli e colorati” e così via.

“Raccontiamo loro cosa stiamo facendo, raccontiamo le nostre giornate e affianchiamo più possibile esperienze concrete” suggerisce ancora l’esperta. “I bambini da subito possono essere coinvolti, per esempio, in cucina utilizzando ovviamente gli strumenti sicuri e corretti. Mentre si taglia insieme una zucchina si può raccontare cos’è, come la cucineremo, spiegare che è un ortaggio come le melanzane”.

Aggiungere particolari alla descrizione degli oggetti

Se il bambino osserva un albero, invece che pronunciare semplicemente la definizione corretta di “albero” è opportuno aggiungere qualche particolare in più “vedi un albero alto, con tante foglie verdi”. È anche utile fare toccare al piccolo il tronco rugoso, per aumentare la stimolazione nervosa anche attraverso il tatto e altri sensi.

Cosa non fare

Alcune abitudini, forse istintive e seguite a fin di bene, vanno evitate per aiutare il bambino a sviluppare la capacità di pronunciare le prime parole.

  • Anticipare il suo discorso: suggerire la parola giusta, terminare il discorso al posto del piccolo, interromperlo per dirgli come fare non aiuta il bambino a sviluppare una buona capacità di eloquio. Può anzi causare una forma di ansia e inadeguatezza.
  • Utilizzare troppo la tecnologia: smartphone, pc, tablet possono essere utili ma non quando il bambino è molto piccolo, perché possono limitare le potenzialità delle diverse aree cerebrali coinvolte nel linguaggio. Tanto è vero che la Sip, Società italiana di Pediatria, a proposito di salute dei minori e digitale suggerisce di evitare l’uso di questi dispositivi almeno fino ai due anni di età. “I genitori spesso utilizzano gli schermi convinti che cartoni animati o video possano stimolare il linguaggio, ma non è così” avverte Valentina Costanzo. “Quello che accresce le capacità linguistiche è l’esperienza concreta e relazionale con gli adulti di riferimento. Il linguaggio è caratterizzato da toni di voce differenti ed espressioni facciali che solo tramite la relazione concreta il bambino può avere”.
  • Lasciare al bambino il ciucciotto durante il giorno: questo piccolo oggetto può essere utile per calmare il piccolo e aiutarlo a prendere sonno, ma tiene occupato il cavo orale e impedisce del tutto i movimenti dei muscoli di labbra, lingua e guance, necessari per articolare le parole.

Sviluppo del linguaggio: come procede

Lo sviluppo del linguaggio avviene sulla base di meccanismi complessi, che partono da una maturazione cognitiva ma anche neuro-muscolare. Il bambino pronuncia le prime parole quando in lui si sono create particolari condizioni, ecco quali:

  • è responsivo: ha uno sguardo attento ed espressivo, si interessa alla realtà circostante, soprattutto alle persone e agli altri bambini, ai piccoli animali e a quello che colpisce la sua immaginazione
  • cerca di imitare: ripete parole, suoni, riproduce termini che non comprende ancora ma che lo colpiscono, fa smorfie per imitare la mimica facciale degli adulti
  • condivide l’attenzione: riesce a mantenere la concentrazione su un oggetto, su un giocattolo, su un libro insieme con un’altra persona, stabilendo una sorta di interazione verbale ed emotiva.

In questa fase è importante che i genitori osservino se il bambino ha questo tipo di manifestazioni attorno ai due anni di età. Se infatti tende a isolarsi, non interagisce con le altre persone, ha un vocabolario estremamente ridotto è opportuno parlarne con il pediatra.

Il bambino potrebbe infatti semplicemente avere bisogno dei suoi tempi per maturare queste competenze. È però bene capire se è opportuno escludere un problema legato allo spettro autistico.

 

In breve

Le prime parole, pronunciate attorno i 18 mesi, sono il risultato di un lungo processo di maturazione cognitiva del bambino, iniziata già nell’utero materno

 

Fonti / Bibliografia

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