Rapporto tra fratelli: lo spiega la psicologa

Laura de Laurentiis A cura di Laura de Laurentiis Pubblicato il 25/07/2023 Aggiornato il 08/11/2023

Il rapporto tra fratelli è molto importante ma spesso complicato. La psicologa e psicoterapeuta Rita D’Amico, grande studiosa di relazioni interpersonali, ha scritto un libro in cui indaga approfonditamente sul rapporto tra fratelli e sorelle. È con noi per parlarcene.

L'ultimo libro della psicologa e psicoterapeuta Rita D'Amico indaga sul rapporto tra fratelli, fornendo preziosi consigli ai genitori per favorirne una crescita serena

Il rapporto tra fratelli è spesso molto stretto ma anche complicato. Avere un fratello o una sorella o più fratelli e sorelle è una ricchezza, un privilegio, è un’opportunità preziosa offerta dal destino e non solo perché, come pensano i figli unici quando sono piccoli, c’è sempre qualcuno con cui giocare, ma in quanto a partire dall’infanzia si ha modo di sperimentare le dinamiche complesse e stimolanti che governano le relazioni sociali e affettive. Il rapporto tra fratelli è importante perché è una palestra per l’emotività: tra fratelli si entra in conflitto, si compete, ci si confronta. Dei fratelli si è gelosi, coi fratelli si litiga, coi fratelli si ride, ci si scambiano segreti e occhiate malandrine per prendere in giro mamma e papà. I fratelli si vorrebbe che a volte sparissero dalla faccia della terra, ma guai se vanno via qualche giorno, se si fermano a fare i compiti da un amico: quando succede è tutto un cercarli, tutto un chiedere “quando tornerà?”. È  bello avere un fratello, qualcuno ha detto che è il dono più prezioso che si possa ricevere dai genitori e i genitori possono molto per renderlo tale, per favorire un legame affettivo forte e saldo tra i figli anche quando – e succede spesso – non si assomigliano per nulla, né per temperamento, né per inclinazioni naturali, né per sensibilità.

Le risposte alle domande di mamme e papà

Freschissimo di stampa, è arrivato nelle librerie un saggio che può davvero dare una mano alle mamme e ai papà che desiderano promuovere l’amore tra i loro figli, anche raggiungendo una maggiore consapevolezza di quello che è il loro rapporto con i fratelli.

Si intitola “Sorelle e fratelli, crescere insieme: uguali, ma diversi”, lo ha pubblicato la società editrice il Mulino, ed è stato scritto dalla psicologa e psicoterapeuta Rita D’Amico, ricercatrice del CNR, grande studiosa di relazioni interpersonali.  La dottoressa è con noi per parlare di quanto analizzato nel libro intorno al delicato, affascinante tema del rapporto tra fratelli.

Cominciamo dalla domanda che tutti i genitori si fanno quando è in arrivo un secondo bambino: come gestire la gelosia del primogenito verso il fratellino?

<<Non mi piace essere ipocrita, dobbiamo dire che un fratellino o una sorellina viene percepito come una minaccia, come una presenza che può privare dell’affetto di mamma e papà. Questo timore può esprimersi attraverso una regressione, per esempio il bambino può ricominciare a fare la pipì nel letto, oppure può assumere atteggiamenti aggressivi contro la mamma o contro il bambino. La gestione di questa rabbia richiede pazienza, tolleranza, ascolto, attenzione. Il primogenito deve sentire che non ha perso nulla, ma anzi ha guadagnato>>.

Spesso l’invidia e il rancore per il nuovo nato danno vita a una competizione che poi può rimanere tale almeno fino all’adolescenza. Cosa possono fare i genitori per far capire al bambino che un fratellino è un dono?

<<In primo luogo si deve stimolare il bambino a esprimere le proprie emozioni negative, ad aprirsi, perché è questo l’unico modo per farlo sentire compreso, considerato e protetto. Il primogenito deve avere la netta sensazione che i genitori sanno cosa sta provando e lo capiscono. Che i genitori “si mettono nei suoi panni”. L’empatia è dunque la chiave>>.

Dottoressa D’Amico, il primo capitolo del suo libro si intitola “Crescere insieme uguali o diversi?”: in effetti quante volte ci si chiede come mai due fratelli (o un fratello e una sorella), pur essendo nati dagli stessi genitori, cresciuti nella stessa famiglia con la stessa educazione e pur condividendo parte del patrimonio genetico, possano essere del tutto differenti. Qual è la sua risposta?

<<Innanzi tutto i fratelli condividono il 50 per cento dei geni dei genitori, quindi da questa sia pure parziale impronta genetica non si sfugge. Per quanto riguarda le somiglianze entra in gioco anche l’emulazione: i fratelli più piccoli tendono a imitare i più grandi, nel bene e nel male, s’intende. Poi però l’ambiente influenza sempre il singolo bambino e non solo per quanto riguarda il “non condiviso” (scuole diverse, per esempio), ma anche perché il temperamento stesso del figlio modula il modo di porsi dei genitori. Per contro, l’atteggiamento dei genitori, per esempio di maggiore tolleranza verso uno dei figli o di minore pazienza verso un altro, può agire sul bambino, anche spingendolo verso un determinato ruolo di “bravo” o “meno bravo”. È un meccanismo che si chiama “profezia autoavverantesi” da cui è bene guardarsi>>.  

È forte la convinzione che l’ordine di nascita abbia una relazione con le caratteristiche che un bambino sviluppa… C’è del vero nel fatto che il primogenito è in genere più obbediente, il secondogenito più accomodante, il terzogenito un eterno immaturo?

<<Così vuole una vecchia convinzione talmente radicata da realizzare la profezia autoavverantesi di cui abbiamo parlato sopra. Tuttavia le cose non sono così semplici né così automatiche e, in più, si rischia di “etichettare”, ovvero di cadere in un tranello che io temo fortemente. Basta l’esperienza per dimostrare che in un nucleo familiare di numerosi fratelli la regola dell’ordine di nascita che vuole, per esempio, il primogenito più responsabile e l’ultimo nato più viziato e meno intraprendente viene meno>>.

Qual è l’errore commesso dai genitori che più di tutti può compromettere il legame affettuoso tra fratelli?

<<Attribuire a volte arbitrariamente a ciascuno un’etichetta. Ma soprattutto non avere l’abilità di far sentire ciascun figlio il prediletto. Il più importante. Unico e apprezzabile per le sue peculiarità, al pari degli altri ovviamente. Guai dunque a dire a un figlio: “guarda che bravo tuo fratello” o, peggio, “tua sorella sì che si comporta bene” perché queste modalità stimolano un confronto e una competizione negativi>>.   

La competizione tra fratelli dunque non ha sempre una connotazione negativa? Ci potrebbe dare una lettura diversa di questo sentimento?

<<Certo la competizione può presentare grandi vantaggi. Succede quando i fratelli si prendono reciprocamente a modello per quanto riguarda gli aspetti positivi. In questo caso il fratello diventa sprone per migliorare se stessi>>.

L’amore fraterno è istintivo?

<<Sì, l’attaccamento ai propri fratelli è istintivo. Per questo è un legame straordinario, che può durare tutta la vita. Dirò di più: può accadere che due fratelli che non sono mai andati d’accordo da bambini, una volta diventati adulti si ritrovino e recuperino un rapporto affettuoso e fruttuoso>>.

È meglio che i figli abbiano poca differenza di età? È più facile che così crescano in maniera più complice, che l’alleanza sia più stretta o è irrilevante?

<<Non esistono regole precise. Ogni famiglia deve costruire la propria storia. È vero però che due figli vicini di età si fanno più compagnia, possono giocare insieme di più, ma allo stesso tempo possono sviluppare maggiori sentimenti di gelosia e di rivalità. La situazione perfetta non esiste>>.

I gemelli sono destinati ad amarsi più degli altri fratelli?

<<Ci può essere un legame molto stretto, ma può anche esserci una tendenza forte ad allontanarsi per trovare la propria identità. Anche in questo caso, dunque, non si può generalizzare>>.

Nel suo libro c’è un capitolo dedicato al figlio preferito. Ce ne parla?

<<Ci si chiede sempre se esista un figlio preferito. La risposta è sì: ci sono studi che hanno evidenziato che spesso i genitori prediligono un determinato figlio. Questa preferenza dipende dalle “affinità elettive” con uno dei figli, ma anche, più banalmente, dal suo genere di appartenenza. Attenzione però: la preferenza è pericolosa per il figlio sfavorito che può sviluppare la convinzione di avere lui la colpa di non essere apprezzato come il fratello. Questo sentimento può condizionarlo pesantemente nell’età adulta, sia nel lavoro sia nelle relazioni affettive>>.

Come si fa a essere perfettamente equi con i figli? La “giustizia” come va amministrata per non far nascere rancori?

<<Nel mio libro riporto i passi necessari per evitare le conseguenze negative della preferenza e, soprattutto, del diverso trattamento. In primo luogo si deve riconoscere la propria preferenza e valutare se nei propri atteggiamenti si usano due pesi e due misure, per poi eventualmente aggiustare il tiro. Tra le varie indicazioni è particolarmente importante quella di accogliere le proteste del figlio che si sente trascurato per confortarlo: è terribile, infatti, vedersi negata una dolorosa percezione>>.

I fratelli spesso litigano anche furiosamente. Non di rado arrivano alle mani: bisogna intervenire o è meglio lasciare che se la cavino da sé?

<<Dipende da come si interviene. L’importante è non punire, non arrabbiarsi, ma cercare di riportare la pace, cercando di capire le loro ragioni e permettendo loro di esporle a turno. Si devono anche gradualmente insegnare modi più diplomatici per risolvere i conflitti. Questo tipo di apprendimento servirà ai bambini in futuro, anche negli ambienti di lavoro dove è sempre prudente e produttivo evitare scontri diretti. È fondamentale, comunque, che i genitori abbiano sempre il polso della situazione e comprendano che tra i figli ci possono essere forme di violenza non solo fisica, ma anche psicologica>>.

 

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