Amniocentesi

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Cos’è l’amniocentesi

Dopo i 35 anni aumentano le probabilità di alterazioni cromosomiche a carico del feto, individuabili attraverso la villocentesi e l’amniocentesi. La villocentesi e l’amniocentesi sono due tecniche diagnostiche che vengono effettuate allo scopo di analizzare il numero e la forma dei cromosomi del feto e solitamente sono consigliate alle future mamme in gravidanza che hanno superato i 35 anni, considerata un’età a rischio per la più comune delle alterazioni cromosomiche: la trisomia 21 o sindrome di Down.
Questi esami, però, permettono di valutare la presenza anche di altre alterazioni meno frequenti del numero dei cromosomi (per esempio, la trisomia 13 e la trisomia 18) o mutazioni macroscopiche della forma dei cromosomi (delezioni, traslocazioni semplici o bilanciate), mentre non sono in grado di determinare la presenza di alterazioni genetiche come la fibrosi cistica e la talassemia (o anemia mediterranea), per le quali bisogna affidarsi ad altri test diagnostici.
La villocentesi e l’amniocentesi sono esami invasivi molto simili tra loro, ma vanno effettuati in epoche diverse della gravidanza e comportano una certa percentuale di rischio di aborto spontaneo. Per questo in genere, se non ci sono altri fattori di rischio, prima dei 38 anni si effettuano dei test di screening non invasivi: il bi-test (o duo-test) o il tri-test.
Solo in caso di positività di questi esami viene consigliata l’amniocentesi. La scelta tra amnio e villocentesi dipende da una serie di variabili: periodo di gestazione, entità del rischio per il feto, certezza della diagnosi e tempi di attesa per la risposta.

Come funziona l’amniocentesi

È un esame molto simile alla villocentesi che viene richiesto per diagnosticare eventuali alterazioni cromosomiche, in particolare la trisomia 21 o sindrome di Down. Si differenzia dall’altro esame per alcuni aspetti. Con un ago inserito nell’addome, sempre sotto controllo ecografico, vengono prelevati 20-25 millilitri di liquido amniotico contenente cellule fetali.
Può essere eseguita solo tra la 15a e la 18a settimana di gestazione, in quanto prima di quell’epoca la quantità liquido non è sufficiente per l’esame. Il risultato si ha in genere dopo due settimane poiché le cellule fetali presenti nel campione di liquido vengono coltivate in vitro per 10-15 giorni e infine sottoposte a esame dei cromosomi.
Al termine del prelievo, la donna può percepire un fastidio all’addome simile al dolore mestruale, dovuto a lievi contrazioni della muscolatura uterina stimolata dal passaggio dell’ago.

I vantaggi dell’amniocentesi

L’amniocentesi non richiede da parte dell’operatore il grado di specializzazione della villocentesi, quindi può essere eseguita in quasi tutti gli ospedali. La percentuale di rischio nei centri accreditati è pari a quella della villocentesi (1 caso di aborto circa ogni 200 esami), ma, rispetto alla villocentesi, ha un’attendibilità del 100%. Dopo il test si possono riprendere le attività quotidiane a patto che non siano troppo faticose, ma bisogna evitare i rapporti sessuali per alcuni giorni.

I rischi

Uno degli aspetti più negativi riguarda il fatto che il test viene effettuato a gravidanza maggiormente inoltrata rispetto alla villocentesi e la risposta è più tardiva: dopo 15 giorni.
Questo significa che in caso di risultato positivo se si è costretti a interrompere la gravidanza sarà necessario indurre un travaglio abortivo con un notevole trauma psicologico e fisico per la donna.
Se il test viene eseguito in epoca particolarmente tardiva (per esempio intorno alla 20a settimana se l’ecografia morfologica segnala anomalie) è possibile ricorrere a tecniche di lettura rapida, senza effettuare una coltura delle cellule e il risultato viene fornito al massimo due giorni dopo il prelievo.
In questo caso, però, il test evidenzia solo le anomalie più frequenti (trisomia 21, 18, 13, X, Y). In ogni caso non permette di escludere l’eventualità di un’alterazione genetica o di una malformazione di altra natura.

Il costo dell’amniocentesi

In generale l’amniocentesi è gratuita se la futura mamma:
  • ha superato i 35 anni;
  • ha figli con malattie cromosomiche o malformazioni congenite;
  • ha effettuato l’ecografia della translucenza nucale abbinata ai test sierologici ( bi-test) oppure il tri-test e il risultato è stato positivo;
  • ha avuto precedenti aborti spontanei;
  • oppure lei o il compagno sono portatori sani di una malattia genetica (talassemia o distrofia muscolare);
  • ha effettuato la fecondazione artificiale;
  • ha contratto una malattia del gruppo Torch (ossia toxoplasmosi, rosolia, citomegalovirus).
In tutti gli altri casi il costo dell’esame è a carico della paziente ed è circa di 600-800 euro.

Un nuovo test potrebbe sostituirli

Fino a oggi la villocentesi e l’amniocentesi sono gli unici esami disponibili per avere informazioni certe sul profilo cromosomico e genetico del bambino. Da alcuni anni però sono allo studio approcci alternativi che possano mantenere il vantaggio della certezza diagnostica ma ovviare ai rischi per il feto legati all’invasività di questi esami.

In Italia

È il caso, per esempio, dello studio messo a punto dall’Università di Perugia e che è già disponibile gratuitamente in regime di “applicazione clinica controllata” per le donne residenti in Umbria che possano essere portatrici di uno o più fattori di rischio di alterazioni cromosomiche. È in attesa di validazione definitiva e prevede l’analisi delle cellule fetali presenti nel sangue materno: si effettua un semplice prelievo di sangue materno tra la 10a e la 13a settimana di attesa. Il risultato è disponibile circa due settimane dopo e fornisce una diagnosi relativa al sesso del nascituro e a tre alterazioni cromosomiche: trisomia 21, 13 e 18.

All’estero

Anche all’estero ci si sta muovendo nella medesima direzione: in Olanda per esempio si sta studiando come poter rilevare in maniera precoce anomalie genetiche gravi come l’emofilia per i maschi, la distrofia muscolare di Duchenne e, sembra, anche la sindrome di Down, la sindrome di Patau e di Edwards. Anche in questo caso si preleva un campione di sangue materno dopo solo 6-8 settimane di gravidanza e, utilizzando alcune sonde genetiche e molecolari, si identifica il Dna del feto. I risultati (che per ora hanno dato un’attendibilità dell’80%) potrebbero essere forniti nel giro di 24-62 ore.

Fonti / Bibliografia

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