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Quando aspetta un bambino, la donna ha diritto a una serie di accertamenti gratuiti. Non occorre pagare il ticket, a patto di presentare una ricetta che riporta il codice M rilasciata dal medico di medicina generale, oppure da un ginecologo che lavora in una struttura pubblica. Non tutte le Regioni, però, garantiscono lo stesso numero e tipo di esami in gravidanza. In alcune, la gestante deve ancora effettuarli a proprie spese.
Come capire se si ha un’infezione in gravidanza?
I Livelli essenziali di assistenza del 2017 prevedono due esami in gravidanza, per individuare infezioni del tratto genito-urinario, che potrebbero causare problemi al piccolo dopo il parto. Uno è l’urinocoltura per la ricerca di batteri responsabili di infezioni che potrebbero causare un parto prematuro. L’altro è il Pap-test nel primo trimestre o il tampone vaginale che servono a individuare lo streptococco di gruppo B nel terzo trimestre. Questi test non in tutta Italia sono disponibili. Per esempio, Abruzzo, Puglia, Sicilia e Sardegna non lo offrono alle gestanti per ragioni di rientro del debito sanitario. Altre Regioni, come Liguria, Marche e Umbria tra gli esami in gravidanza in esenzione ci sono soltanto controlli ginecologici, corsi pre-parto e assistenza al puerperio.
In quale settimana di gravidanza si fa il bitest?
Esiste un esame importante e poco invasivo che permette di scoprire anomalie del feto, come la trisomina 21 o Sindrome di Down e altre. È il bitest o test combinato, che si esegue tra l’undicesima e la tredicesima settimana di gravidanza. Ha il vantaggio di scoprire se una donna è a rischio di mettere al mondo un bambino con problemi di salute, ma non è invasivo come altri esami in gravidanza, tipo la villocentesi o l’amniocentesi. Infatti, in un campione di sangue prelevato dal braccio della mamma si effettua il dosaggio di due sostanze, la proteina plasmatica A associata alla gravidanza e la subunità beta in forma libera dell’ormone HCG (Gonadotropina Corionica Umana).
Quando fare translucenza nucale e bitest?
Si effettua poi la translucenza nucale, ossia la misurazione ecografica dello spessore dello spazio tra la pelle e la nuca del feto. I dati ottenuti dal prelievo del sangue e dall’ecografia vengono combinati con l’età materna e si ottiene un dato. Se questo è compreso tra una probabilità su 250 fino a una su 385 la gravidanza è considerata a rischio. A quel punto si può indagare ulteriormente con metodiche più invasive. Questo esame non è ancora gratuito nemmeno per le donne con gravidanza a rischio in molte Regioni italiane, per esempio Abruzzo, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Umbria, Puglia, Umbria, Sicilia e Sardegna.
Quando si fa il DNA fetale?
Un’altra Indagini non invasiva che una gestante dovrebbe pagare di tasca propria è in Nipt test o Dna fetale circolante nel sangue della mamma. Anche in questo caso è sufficiente effettuare un prelievo di sangue dal braccio della donna alla decima settimana di gravidanza. A questo punto si va alla ricerca di frammenti dei cromosomi della placenta per individuare alterazioni cromosomiche. Il test non è inserito nei Lea, ma gli esperti sperano che venga presto incluso, perché si può effettuare se il bitest non fornisce risultati definitivi, per evitare esami invasivi. Si calcola che se il Nipt test fosse inserito nei Lea ci sarebbe un risparmio fino a 19 milioni di euro per il Servizio sanitario nazionale, perché non sarebbe necessario effettuare villocentesi o amniocentesi. Al momento, solo l’Emilia Romagna offre gratuitamente il Nipt test a tutte le gestanti. In Toscana è gratis per le mamme disoccupate o indigenti, con un referto del bi-test che mostra un rischio aumentato.