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Il tampone vaginale in gravidanza viene fatto di routine attorno alla 36esima settimana per rilevare la presenza di Streptococco Agalactiae gruppo B (SGB), il principale fattore di rischio per una grave infezione del neonato che può avere tra le sue manifestazioni setticemia, meningite, polmonite e causare infezioni dopo il parto anche alla mamma. L’esecuzione del tampone vaginale è rapida e non dolorosa. Qualora l’esito sia positivo per SGB non viene fatto nulla in gravidanza bensì si procede alla somministrazione di una terapia antibiotica mirata al momento del parto così da interrompere la trasmissione del batterio dalla mamma al neonato e ridurre il rischio di infezioni neonatali.
A cosa serve il tampone vaginale
«Tra i numerosi esami che possono essere prescritti in attesa vi è anche il prelievo del secreto vaginale per same microbiologico, genericamente nominato tampone vaginale» spiega la dottoressa Alessandra Valerio, Medico Chirurgo, Specialista in Ginecologia e Ostetricia presso il Poliambulatorio AestheMedica di Ferrara. «Tuttavia, come sempre, prima di effettuare degli accertamenti, è importante avere ben chiare le reali indicazioni all’esame». Per meglio affrontare il problema è opportuno avere presenti quali siano le principali modificazioni dell’ambiente vaginale in gravidanza. «In attesa, le secrezioni vaginali solitamente aumentano e si presentano dense e di colore bianco» precisa la ginecologa. «Grazie alla massiccia presenza di estrogeni, la mucosa vaginale si inspessisce e le cellule si arricchiscono di glicogeno e ciò costituisce un ambiente favorevole per la proliferazione di lattobacilli. I lattobacilli, attraverso la secrezione di sostanze antibatteriche e la produzione di acido lattico, favoriscono il mantenimento di un pH vaginale basso, cioè acido (3.5-4.5).
L’ambiente acido inibisce la crescita di agenti patogeni potenzialmente nocivi in gravidanza, ad esempio escherichia coli, gardnerella, micoplasma, streptococco agalactiae gruppo B. Al contrario risulta più ospitale per le micosi (ad esempio per la candida albicans). Il microbioma vaginale in gravidanza è un ecosistema complesso che ha tra gli altri un ruolo nella protezione del feto dalle infezioni ascendenti, quelle che dalla vagina risalgono verso il feto. La prevalenza del lattobacillo e conseguentemente della candidiasi in gravidanza riduce la probabilità di altre infezioni batteriche che si possono associare ad un aumento del rischio di parto prematuro; l’infezione da candida, al contario, invece non si associa a tale rischio.
Un altro capitolo che riguarda l’ambiente vaginale in gravidanza è la presenza dello Streptococco Agalactiae gruppo B (SGB). La colonizzazione in gravidanza da parte dell’SGB costituisce il principale fattore di rischio per una grave infezione del neonato che può avere tra le sue manifestazioni setticemia, meningite, polmonite; la mamma invece può avere un maggiore rischio di endometrite ed infezioni dopo il parto». Si stima che circa una gestante su quattro contragga questo tipo di infezione che per altro è asintomatica e può essere diagnostica solo mediante il tampone vaginale.
Quando fare il tampone vaginale
«L’esecuzione del tampone vaginale in gravidanza è finalizzata ad individuare possibili alterazioni del microbioma che possano dimostrarsi dannose per il feto» spiega l’esperta. «In gravidanza è indicato eseguire un tampone vagino-rettale intorno alle 36 settimane in tutte le gestanti, come test di screening per individuare la colonizzazione delle vie genitali da parte dello Streptococco Agalactiae gruppo B (SGB) che, come detto, rappresenta un grave fattore di rischio per il neonato e anche per la mamma. Non c’è invece un’indicazione ad effettuare tamponi di screening in altre fasi della gravidanza.
Bisogna sempre considerare nelle valutazioni diagnostiche e terapeutiche che l’ambiente vaginale non è mai sterile e quindi l’esame colturale potrebbe risultare positivo per germi abitualmente residenti nel tratto vaginale. Una terapia antibiotica non necessaria, prescritta in questi casi, genera delle resistenze che potrebbero avere gravi ripercussioni future; l’assunzione di antibiotici senza necessità per altro altera in maniera importante la flora batterica vaginale facendo venir meno l’azione difensiva della stessa e aprendo la strada a possibili infezioni».
Tampone vaginale: come si fa l’esame
«Il tampone vaginale è un esame di tipo microbiologico che si esegue prelevando una piccola quantità di secreto vaginale per mezzo di un bastoncino cotonato simile ad un cotton fioc» precisa la ginecologa. E’ un esame ambulatoriale e indolore che richiede pochi minuti di esecuzione. «Nei due giorni che precedono l’esame è opportuno non avere rapporti sessuali e non utilizzare ovuli o lavande vaginali oppure fare il bagno in vasca per non alterare l’esito dell’esame» continua l’esperta.
Anche l’eventuale assunzione di antibiotici va sospesa cinque giorni prima dell’esecuzione del tampone. «Il risultato solitamente è disponibile dopo alcuni giorni; le secrezioni prelevate vengono infatti messe in coltura e bisogna quindi attendere il tempo necessario per vedere l’eventuale sviluppo di germi patogeni» conclude la dottoressa Valerio. Il tampone vaginale in gravidanza può essere svolto presso consultori pubblici, ambulatori privati e in centri prelievi privati dove vengono eseguiti esami di laboratorio.
Tampone positivo: cosa fare?
«Nelle gestanti che risultino positive allo Streptococco Agalactiae gruppo B (SGB) dopo l’esecuzione del tampone vaginale non è previsto alcun tipo di intervento durante l’attesa. Il trattamento viene infatti eseguito durante il parto, attraverso la somministrazione di una terapia antibiotica, così da interrompere la trasmissione del batterio dalla mamma al neonato e ridurre il rischio di infezioni neonatali durante il passaggio del feto» precisa la ginecologa.
«Il neonato viene invece monitorato nei giorni successivi». E se una volta eseguito il tampone la futura mamma si trova in procinto di partorire senza aver avuto l’esito? Non è il caso di preoccuparsi. In mancanza dell’informazione sullo stato di colonizzazione da SGB al momento del parto la cura antibiotica viene effettuata quando si ritiene che ci siano condizioni “a maggior rischio”. E’ il caso del parto pretermine, prima delle 37 settimane, così come della febbre materna, della presenza di streptococco nelle urine o di un precedente figlio con infezione neonatale da SGB.
Foto in copertina di Cindy Paris da Pixabay.com