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Il test del Dna fetale è un esame che ha l’obiettivo di individuare alcune anomalie cromosomiche del feto partendo da un prelievo di sangue materno. Si tratta di un test non invasivo, quindi non prevede il rischio di aborto, differenza di villocentesi e amniocentesi che necessitano invece l’ingresso con un ago nell’utero materno.
Tuttavia, a differenza di queste ultime, il test del Dna fetale non è diagnostico, bensì di screening. Infatti fornisce un calcolo del rischio che ha il feto di essere affetto da alcuni tipi di malattie. Vediamo nel dettaglio di che cosa si tratta, insieme con la dottoressa Floriana Carbone, ginecologa responsabile della Pelvic Unit del Policlinico di Milano.
Come si esegue
Il test del Dna fetale (o Nipt, Non Invasive Prenatal Test) è un esame che si esegue a partire da un campione di sangue venoso prelevato dall’avambraccio della gestante, esattamente come si fa per eseguire l’emocromo nelle prime settimane di gravidanza.
La maggior parte dei test del Dna fetale avviene con le NGS o Next Generation Sequencing, tecniche di sequenziamento degli acidi nucleici che riescono ad esaminare in contemporanea milioni di frammenti di Dna. Questi sistemi di sequenziamento genetico di ultima generazione, disponibili oggi, permettono di isolare e di esaminare tracce di Dna del feto presenti nel sangue materno già dalla 5a settimana di gravidanza e che dalla 10a settimana appaiono in quantità sufficiente per poter essere studiate.
In questo modo è possibile capire se esiste il rischio di malattie cromosomiche come la Trisomia 21, o sindrome di Down.
Differenza tra test del Dna fetale e amniocentesi
“Per quanto riguarda il timing di questi test, è possibile eseguire il Nipt a partire dalla decima settimana di gravidanza” precisa la dottoressa Floriana Carbone, ginecologa responsabile della Pelvic Unit del Policlinico di Milano. “La villocentesi è invece indicata tra la 11° e la 13° settimana, mentre l’amniocentesi si esegue nel secondo trimestre, a partire dalla 16a settimana”.
La differenza principale tra questi test è la certezza con cui riescono a prevedere le malattie cromosomiche e il rischio correlato alla procedura.
Il test del Dna fetale è assolutamente sicuro sia per il feto sia per la donna, perché non comporta l’introduzione di un ago nell’utero, come avviene invece per l’amniocentesi e per la villocentesi. Tuttavia, si tratta di un test di screening, che cioè definisce la probabilità più o meno elevata che una certa anomalia cromosomica sia presente.
Le tecniche di oggi permettono di saperlo con una elevata percentuale di sicurezza, ma non al 100%. Amniocentesi e villocentesi sono indagini che si eseguono sul Dna prelevato direttamente dal feto, quindi sono in grado di concludere con certezza se la malattia cromosomica è presente o meno.
Quando può essere eseguito
Il Nipt può essere eseguito a partire dalla decima settimana di gravidanza per tutte le donne che lo desiderino, tranne nei casi per cui è indicata come prima scelta una tecnica invasiva come la villocentesi, per esempio nel caso di familiarità per malattie cromosomiche o genetiche. “In questi casi, qualora la coppia decida di eseguire una diagnosi prenatale, il ricorso alla procedura invasiva è consigliato, in quanto il rischio di malattia fetale è più alto rispetto a quello della popolazione generale e non avrebbe senso affidarsi a un test di screening come il Nipt, che non può garantire al 100% l’assenza della malattia” avverte la dottoressa Carbone.
È importante sapere che il test del Dna fetale è offerto gratuitamente alle gestanti solo in Emilia-Romagna e in Valle d’Aosta. In Lombardia è gratuito solo per le donne con un esito di “rischio intermedio” al test combinato. Il costo del test del Dna fetale varia dai 500 ai 1.000 euro circa, anche in base alla tipologia e alla quantità di anomalie che si intende ricercare. Al momento, infatti, questo esame non è stato inserito nei Livelli essenziali di Assistenza.
Se altre tecniche non sono conclusive
Il test del Dna fetale è nato con l’obiettivo di evitare il ricorso a villocentesi e amniocentesi quando le tecniche di screening tradizionali fornivano un risultato non conclusivo. È il caso per esempio del test combinato, che effettuato da solo ha una affidabilità del 90% circa.
“Nel primo trimestre di gravidanza le linee guida italiane riconoscono due principali tecniche di screening per le malattie cromosomiche: oltre al test del Dna fetale, il test combinato” prosegue la specialista. “Quest’ultimo esegue un calcolo statistico restituendo una percentuale di rischio del feto di essere affetto avvalendosi di tre parametri. Questi sono età materna, prelievo di sangue materno per il dosaggio di due ormoni prodotti dalla placenta, proteina plasmatica A associata alla gravidanza o PAPP-A e free BHCG cioè subunità beta presente in forma libera della Gonadotropina Corionica Umana e, infine, studio ecografico dell’anatomia fetale, tra cui la translucenza nucale”.
Il test combinato può avere tre diversi tipi di esito:
- un “alto rischio”, per cui sarebbe indicato ricorrere in prima istanza una procedura invasiva di diagnosi prenatale
- un “basso rischio”, per cui non è indicato eseguire altre procedure, ma se la coppia desidera avere un’accuratezza più alta, è possibile eseguire il test del Dna
- un “rischio intermedio”, per cui può essere indicato eseguire in prima istanza il test del Dna anziché la procedura invasiva, che come abbiamo visto si associa a un rischio di aborto, seppur minimo.
Quali malattie scopre
Il test è stato messo a punto per la diagnosi precoce, in epoche gestazionali precoci rispetto all’amniocentesi, di anomalie cromosomiche come la Trisomia 21 o Sindrome di Down, ma anche per le Trisomie 13 (Sindrome di Patau) e Trisomia 18 (Sindrome di Edwards). Queste rappresentano oltre il 70% di tutte le anomalie cromosomiche che si possono presentare nel bambino. Con il test del Dna fetale è anche possibile individuare altre malattie, per esempio:
- omocistinuria, una malattia genetica che si accompagna a deficit cognitivo, anomalie dello scheletro, problemi visivi
- fenilchetonuria, che consiste nell’accumulo di fenilalanina (un amminoacido che se presente in eccesso ha effetti tossici sull’organismo)
- fibrosi cistica che è associata a un’anomala produzione di muco in eccesso negli organi interni
- microdelezioni, ovvero altre anomalie cromosomiche caratterizzate dalla mancanza di frammenti di Dna.
L’accuratezza nel test Dna fetale
Essendo un test di screening, il limite principale del test del Dna fetale è rappresentato dall’accuratezza, ossia dalla percentuale di sicurezza rispetto al margine di errore. Gli errori possono essere di due tipi:
- falsi positivi, ossia il test segnala che il feto ha una anomalia cromosomica e invece non è così
- falsi negativi, quando il test riferisce che non si sono malattie e, invece, il bambino viene al mondo con un’anomalia cromosomica.
Nel caso della Sindrome di Down, la probabilità che il risultato sia esatto è del 99,7%, di conseguenza le probabilità di errore, falso positivo o falso negativo, sono di una su 10mila.
Nel caso di altre sindromi cromosomiche la percentuale è più bassa, attorno al 98% per la trisomia 18 e per la Trisomia 13.
“Attraverso il Nipt è possibile anche lo studio dei cromosomi sessuali e di alcune microdelezioni, come la Selezione del cromosoma 22q11 o la Sindrome di Di George, aggiunge la ginecologa. “Tuttavia, i dati in letteratura per definire l’accuratezza dello screening di queste particolari condizioni sono ancora limitati.”
Per migliorare l’accuratezza del test del Dna fetale, è consigliabile abbinarlo a un’indagine ecografica come lo studio della translucenza nucale. In questo modo, incrociando i risultati, si raggiunge un margine di errore ancora più limitato.
Tuttavia, come già illustrato, i dati in letteratura sono sufficienti solo per quanto riguarda la trisomia 12, 13, 18, la sindrome di Di George e l’analisi del cromosomi sessuali.
L’affidabilità di questo test per la ricerca di altre malattie che si possono presentare nel bambino è ancora oggetto di studio. “È bene precisare che la decisione di eseguire il test del Dna fetale va presa insieme con il ginecologo, in base alla storia clinica della coppia, all’epoca gestazionale, alla personale percezione di “rischio”, eventualmente richiedendo il parere di un genetista se necessario”, conclude la dottoressa Carbone.
In ogni caso, l’indicazione è sempre quella di rivolgersi a centri, privati o pubblici se la propria regione lo permette, altamente qualificati in questo tipo di indagine prenatale.
In breve
Il test del Dna fetale si esegue sul sangue materno prelevato dal braccio, in cui si trovano cellule del feto. Non comporta rischi ma non è preciso come l’amniocentesi che comporta un minimo pericolo di aborto. Per questo è bene informarsi presso il proprio ginecologo o con un genetista.
Fonti / Bibliografia
- Ilma Floriana Carbone | Policlinico di MilanoMedico - "Durante la mia carriera ho sviluppato un'esperienza pluriennale nella medicina fetale con un costante aggiornamento sulle strategie di screening e di prevenzione delle patologie materno-fetali: ho acquisito particolari competenze nella gestione dei percorsi diagnostici e terapeutici delle gravidanza complicate."
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- Sindrome di DiGeorge, individuata l'origine genetica della patologia renale associata - Osservatorio Malattie RareIn uno studio da poco pubblicato sull'insigne rivista The New England Journal of Medicine, un team internazionale di ricercatori è riuscito a risalire al gene collegato alla patologia renale che si osserva frequentemente nella sindrome di DiGeorge.