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L’ossitocina è impiegata soprattutto, insieme alle prostaglandine, per indurre il parto quando si protrae oltre il termine, cioè oltre circa dieci giorni dopo la 40ª settimana (parto indotto).
Anche durante il travaglio
L’ossitocina viene spesso utilizzata però anche durante il travaglio per regolarizzare il ritmo delle contrazioni nel caso in cui esse si bloccassero all’improvviso o per rafforzarle quando nono sono più costanti ed efficaci (parto pilotato).
Per via endovenosa
Viene somministrata per via endovenosa, cioè direttamente in vena, a discrezione del ginecologo, nel caso in cui ritenesse che possa essere rischioso per la donna o per il bambino nel pancione aspettare che il travaglio progredisca in maniera spontanea.
Battito del bebè sotto controllo
Durante la somministrazione di ossitocina, è necessario tenere sotto controllo il benessere fetale attraverso il monitoraggio cardiotocografico. In base all’intensità delle contrazioni provocate dal farmaco, infatti, l’afflusso di ossitocina può essere aumentato o diminuito.
In breve
I RISCHI PER MAMMA E BEBÈ
Se il parto si protrae troppo a lungo mamma e bebè potrebbero incorrere in alcune complicanze. Ecco quali. Per la mamma: ipertensione, diabete e pre-eclampsia (condizioni comunque che vengono tenute sempre sotto osservazione dal ginecologo durante il periodo finale della gravidanza durante le visite periodiche). Per il bebè: stress e sofferenza fetale; attraverso il monitoraggio cardiotocografico il ginecologo ascolta il battito del bambino: dalla frequenza il medico riesce a capire lo stato di salute del bambino; possono poi sorgere problemi legati all’ossigenazione e al nutrimento del feto, in quanto la placenta “invecchiata” non riesce più a svolgere al meglio la propria funzione, e alla scarsità di liquido amniotico.