Test sul Dna fetale può individuare la sindrome di DeGeorge?

Redazione A cura di “La Redazione” Pubblicato il 02/11/2015 Aggiornato il 02/11/2015

La sindrome di DeGeorge potrebbe essere individuata già durante le prime settimane di gravidanza grazie al nuovo test sul Dna fetale. Ecco i dettagli

Test sul Dna fetale può individuare la sindrome di DeGeorge?

Negli ultimi mesi si è parlato molto di un nuovo esame di screening prenatale: il test sul Dna fetale. La comunità scientifica, infatti, si sta ancora interrogando sulla sua reale attendibilità e utilità . Per questo non mancano studi in proposito. Uno dei più recenti sembra avvalorare la posizione di chi lo considera uno strumento prezioso nel panorama delle indagini di diagnostica e screening eseguibili durante la gravidanza per esaminare le condizioni di salute del feto. Infatti, è giunto alla conclusione che questo test possa essere utile per riconoscere una malattia rara, la sindrome di DeGeorge, già nelle prime settimane di attesa.

Un test di ultima generazione

Il test sul Dna fetale è un test di screening che consiste in un semplice prelievo di sangue materno. Il campione viene poi lavorato in laboratorio con metodiche innovative allo scopo di separare i frammenti liberi di Dna placentare da quello materno. Infatti, occorre sapere che il sangue della mamma contiene parte del Dna della placenta, che in genere è quasi uguale a quello fetale. L’analisi di questi frammenti permette di calcolare il rischio che il bambino sia affetto da alcune anomalie cromosomiche, di cui la più nota e frequente è la sindrome di Down.

Che cos’è la sindrome di DiGeorge

La Sindrome di DiGeorge è una malattia causata da una mutazione (microdelezione) a carico di una porzione del cromosoma 22 e può provocare varie conseguenze, a livello del cuore, del timo, delle paratiroidi e del volto. La manifestazione più comune, comunque, è rappresentata da una malformazione cardiaca congenita. Si tratta di una malattia più diffusa di quanto si creda: l’incidenza è di 1 su 2.000/4.000 bambini nati vivi, del tutto paragonabile a quella della fibrosi cistica.

Lo studio del Sant’Orsola Malpighi di Bologna

Lo studio che ha dimostrato l’utilità del test sul Dna fetale per la diagnosi della sindrome di DiGeorge è stato condotto da un gruppo di ricercatori italiani, dell’Università di Bologna, e pubblicato sulla rivista internazionale Case Reports in Obstetrics and Gynecology. Ha riguardato una donna incinta, seguita fin dalle prime settimane di gravidanza presso l’U.O. di Genetica Medica del Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna. I primi controlli ecografici di routine cui era stata sottoposta non avevano mostrato nulla di anomalo. Il test genetico eseguito alla 12a settimana di gestazione, invece, ha rivelato un alto rischio per la malattia rara. Di conseguenza, la futura mamma è stata invitata a seguire un iter diagnostico prenatale, con esecuzione di un’amniocentesi e un’ecocardiografia fetale morfologica, che hanno confermato la diagnosi.

Un risultato importante

Gli autori hanno spiegato che si tratta di una scoperta fondamentale. “Allo stato attuale possiamo affermare che solo la tecnica non invasiva su Dna fetale (NIPT) consente di identificare già nel primo trimestre di gravidanza questo tipo di patologie. Le normali tecniche invasive di routine non ricercano le microdelezioni, se non in casi particolari, e comunque intorno alla 20a settimana. Per questo motivo in futuro il ruolo della diagnosi prenatale non invasiva sarà sempre più importante e la ricerca in questo ambito contribuirà ad aumentare il grado di conoscenza e consapevolezza anche delle future mamme” hanno spiegato gli autori.

 

 

 
 
 

In breve

NON SOSTITUISCE GLI ESAMI TRADIZIONALI

Il test sul DNA fetale, per quanto utile, non sostituisce gli esami diagnostici conclusivi tradizionali, come amniocentesi e villocentesi. Per questo, è importante che la coppia decida come procedere con l’aiuto del ginecologo ed eventualmente del genetista.

 

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