Mononucleosi

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Cos’è la mononucleosi?
Chiamata anche “malattia del bacio”, la mononucleosi spesso spaventa i genitori perché poco conosciuta. In realtà, non si tratta quasi mai di nulla di serio, nemmeno se colpisce le donne in gravidanza.
La mononucleosi è una malattia infettiva che interessa soprattutto i bambini e i giovani. Si tratta, infatti, di due categorie che, ogni giorno, trascorrono molto tempo in comunità (asili, scuole, gruppi sportivi, palestre) e hanno diverse occasioni di entrare in contatto con il virus responsabile.
Non bisogna comunque preoccuparsi: l’organismo, anche quello dei più piccoli, in genere è in grado di affrontarla senza problemi. Anche nel caso in cui la si contragga in gravidanza, non bisogna allarmarsi: non comporta rischi aggiuntivi per la mamma o il bebè.
L’unico inconveniente è che potrebbe indebolire il sistema immunitario materno, favorendo la comparsa di altre infezioni. Stando a riposo, però, non si corrono grandi pericoli.
Le cause
La mononucleosi è provocata dal virus di Epstein-Barr, che fa parte della famiglia degli Herpes virus, la stessa a cui appartiene il virus responsabile della varicella.
Il microrganismo, inizialmente, si annida nelle alte vie respiratorie, replicandosi nelle cellule dell’orofaringe (porzione della faringe corrispondente alla bocca). Dopo qualche tempo, però, viene trasportato dai linfociti (un tipo di globuli bianchi) in tutto l’organismo.
Come si trasmette
Con tutta probabilità la trasmissione avviene per via aerea, tramite il contatto con la saliva di una persona infetta: ecco perché è detta anche “malattia del bacio”.
Comunque, il bacio non è l’unico mezzo di contagio: ci si può ammalare anche se si beve dallo stesso bicchiere del malato o se si respirano le goccioline infette emesse con gli starnuti o anche parlando.
Come riconoscere la mononucleosi?
Non esiste un segnale di riconoscimento specifico per identificare la mononucleosi: i disturbi iniziali, come malessere e mal di testa, e quelli successivi, come febbre e linfonodi ingrossati, sono infatti generici e comuni a molte malattie. 
I sintomi
Trascorso il periodo di incubazione, che varia da pochi giorni a tre settimane, la malattia può iniziare a manifestarsi con sintomi poco caratteristici:
  • malessere generale;
  • stanchezza;
  • mal di testa;
  • mal di gola.
Ecco perché, spesso, viene trascurata o confusa con altre problematiche. Quando l’infezione si diffonde in tutto l’organismo, possono subentrare altri disturbi generici, come:
  • ingrossamento e dolore dei linfonodi (soprattutto di collo, ascelle e inguine);
  • aumento di volume della milza;
  • febbre (anche alta).
In molti casi, inoltre, i sintomi della mononucleosi sono talmente blandi da passare inosservati o da essere “catalogati” come semplice stanchezza passeggera.
In pratica, quindi, per diagnosticare la mononucleosi, non bastano i sintomi, ma servono indagini del sangue mirate allo scopo. Accade anche che la persona scopra quasi per caso, eseguendo approfondite analisi del sangue per altri motivi, di essere entrata in contatto con il virus e di aver contratto quindi l’infezione.
Le cure
I sintomi della mononucleosi scompaiono da soli nell’arco di due-tre settimane. Tuttavia, successivamente, rimane ancora qualche “strascico” della malattia. Per guarire completamente sono necessarie, infatti, ancora un paio di settimane di riposo. 
Non esistono medicine antivirali o altri farmaci capaci di combattere il virus responsabile della malattia. Al limite il medico può prescrivere antipiretici per la febbre, antidolorifici per la cefalea o pasticche per il mal di gola.
Si può prevenire la mononucleosi?
Non c’è un vaccino contro la mononucleosi, ma esistono regole di prevenzione che è bene osservare per tenere lontana la malattia: per esempio non frequentare gli ambienti affollati, evitare i contatti troppo ravvicinati con gli altri e lavarsi spesso le mani (soprattutto dopo essere stati sui mezzi pubblici).
Consigli per i genitori
Sia se l’ammalato è un bambino sia se è un adulto,  il riposo è la miglior cura contro la mononucleosi perché impedisce che l’organismo si indebolisca ulteriormente e gli permette di riacquistare progressivamente le forze.
Dopo la guarigione, sarebbe bene non praticare sport che prevedono contatti fisici, come calcio, karate e basket, per almeno tre-quattro mesi.
A cura del Dottor Piercarlo Salari, pediatra.

Fonti / Bibliografia

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