Baby blues: cos’è, sintomi e come affrontarlo

Alberta Mascherpa A cura di Alberta Mascherpa Pubblicato il 10/08/2023 Aggiornato il 10/08/2023

Il baby blues è una condizione lieve e transitoria di malessere psichico che le neomamme possono trovarsi ad affrontare nei primissimi periodi dopo la nascita del bebè. Vediamo insieme agli esperti se c'è una differenza con la depressione post-partum, come riconoscere i sintomi del baby blues e come affrontarlo

Il baby blues colpisce molte donne nei primi tempi del post parto. Non è grave, ma non va trasucrata per evitare che si trasformi in una vera e propria depressione post partum

Il baby blues, letteralmente la malinconia da bebè, è una condizione di malessere che interessa principalmente la sfera psichica che può cogliere alcune mamme già dai primi giorni dopo la nascita del piccolo. A differenza della depressione post-partum non è una situazione che deve destare particolare preoccupazione. In ogni caso non va trascurata: vediamo insieme i sintomi tipici del baby blues e come affrontarlo per superarlo in serenità.

Baby blues: cos’è?

«Il post partum è un periodo molto delicato per la vita di una donna che si trova ad affrontare non solo una serie di importanti cambiamenti fisici, ma anche una condizione di intenso turbamento emotivo e psicologico» commenta Francesca Scarpellini, psicologa e fondatrice insieme a Silvia Romeo di Mindful Beauty Experience a Milano. «Nelle primissime fasi dopo la nascita la neomamma deve abituarsi alla compagnia del suo bambino e, allo stesso tempo, sviluppare il senso di responsabilità nei confronti del neonato». Si tratta di due processi di fondamentale importanza perché la donna possa interiorizzare l’abito della maternità e integrarlo nel proprio essere. «Nella nostra società l’attenzione è comunemente rivolta alle emozioni positive che caratterizzano questa fase di vita, quindi, le donne non si sentono legittimate a manifestare le loro naturali vulnerabilità legate all’assunzione del nuovo ruolo di mamma» spiega la psicologa Romeo. «La difficile realizzazione di questi processi di adattamento può causare alterazioni psicologiche rilevanti nella neomamma di cui un esempio è proprio il baby blues».
Ma come definire quindi il baby blues? «Possiamo dire che si tratta di una compromissione psichica e fisiologica lieve e transitoria che si verifica entro le prime due settimane dopo il parto» continua Romeo. «Si identifica quindi come il più precoce e il più comune dei disturbi mentali del puerperio.  Il baby blues, quindi, non è ancora catalogabile come un’entità patologica, tanto da non essere presente nei manuali di classificazione diagnostica. Nonostante questo, sono diverse le ricerche che hanno documentato le possibili conseguenze del baby blues. Per la mamma che presenta un alto rischio di sviluppare un disturbo depressivo conclamato durante il periodo del post partum, la cosiddetta depressione post-partum, ma anche per il bambino che può sviluppare in seguito problemi psichici. Va tenuto conto, infatti, che circa il 20% delle donne che presentano sintomi di baby blues riceve una diagnosi di depressione post partum (identificata con la sigla DPP) nel primo anno dopo il parto».

Baby blues: sintomi

«I cambiamenti dell’umore nel post partum sono complessi e si legano a un insieme di fattori che coinvolgono la sfera prettamente biologica e psicologica ma anche quella sociale e culturale» commenta Scarpellini. «Il baby blues si manifesta comunemente con stati di tensione, stress, instabilità dell’umore e mancata gestione dei vissuti emotivi subito dopo il parto. Questi sintomi possono essere accompagnati da irritabilità improvvisa, crisi di pianto, indifferenza nei confronti del bambino, rifiuto di allattare e di prestare cure adeguate. Secondo alcuni studi i sintomi ansiosi sono caratteristici tanto quanto quelli depressivi. Infatti, subito dopo il parto, potrebbero manifestarsi anche altri sintomi che si possono sempre far rientrare nell’ambito del baby blues, come insonnia, ansia, perdita di appetito, fobie e scarsa capacità di concentrazione».

Diventa spontaneo chiedersi a questo punto da cosa possa essere determinato il baby blues. «Questo disagio potrebbe essere attribuito alle fisiologiche variazioni ormonali successive al parto e alle modificazioni psicologiche associate all’adattamento alla fase di cambiamento che costituisce la maternità» è la risposta della dottoressa Romeo. Fa eco il professor Enrico Zanalda, presidente della Società Italiana di Psichiatria Forense. «Come tutti i grandi cambiamenti, la nascita di un figlio soprattutto il primo, è un momento di grande transizione e sfida per la mamma. Anche la grande gioia è un notevole stress e se la neomamma è una persona fragile dal punto di vista emotivo, ne è più difficile la gestione. La maternità comporta notevoli cambiamenti fisici, psichici e di ruolo, e può mettere a dura prova la resilienza della donna. Oltre ai cambiamenti fisici e biologici, tra cui le fluttuazioni ormonali, lo stress associato alla maternità è determinato dalla sfida nell’adattarsi al nuovo ruolo, comprese le difficoltà determinate dalla responsabilità della cura del neonato».

Che differenza c’è tra baby blues e depressione post partum?

«Il baby blues, è una condizione di irritabilità/instabilità emotiva che colpisce 70-80 % delle donne nei giorni successivi al parto. Dura una o due settimane e si risolve spontaneamente, per cui non è considerato una condizione patologica» continua il dottor Zanalda. «Viceversa, il 10-15% circa delle neomamme soffre della così detta depressione post partum che – se non riconosciuta e trattata – nel 50% dei casi può essere presente sei mesi dopo il parto e nel 20/25% a distanza di un anno».

Esiste, quindi, una netta differenza tra baby blues e depressione post-partum. «La depressione post partum è una sindrome depressiva di per sé, nota per essere ben più grave e di lunga durata rispetto al baby blues» conferma la dottoressa Scarpellini.  «È caratterizzata da una combinazione di umore deflesso, perdita di interesse, anedonia, disturbi del sonno e dell’appetito, ridotta concentrazione, disturbi psicomotori, affaticamento, sentimenti di colpa o inutilità. Tra i sintomi si possono elencare anche labilità dell’umore, ansia, irritabilità, sensazione di sopraffazione e preoccupazioni per la salute del bambino. Nel 20% dei casi si riscontra anche la presenza di pensieri suicidari».

«La depressione post partum è una depressione maggiore a tutti gli effetti» precisa il professor Zanalda. «I sintomi caratteristici di grande allarme sono la mancanza di progettazione nel futuro e l’incapacità di chiedere aiuto, a cui si affiancano sensi di colpa, depressione del tono dell’umore con i caratteristici sintomi della mancanza di energie e di provare piacere, le crisi di pianto, sentimenti di disperazione, ansia e insonnia. La sintomatologia è generalmente più acuta al risveglio, quando vi è il contrasto tra la giornata che inizia e lo stato interno della persona depressa che può essere cristallizzato sulla negatività e sulla convinzione di essere incapace a vivere un nuovo giorno».

Questa complessa sintomatologia può creare un disagio clinicamente significativo che porta alla diagnosi di depressione post-partum. «Affinché possa essere emessa diagnosi, questi sintomi devono causare disagio clinicamente significativo» spiega Scarpellini. «Secondo il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali dell’American Psychiatric Association l’insorgenza dei sintomi dell’umore deve avvenire durante la gravidanza o nelle quattro settimane successive al parto. Tuttavia, nella pratica clinica e nella ricerca clinica, è stato possibile osservare l’insorgenza della depressione post-partum da quattro settimane a dodici mesi dopo il parto». C’è quindi differenza tra baby blues e depressione post-partum. «Ma bisogna comunque tener conto del fatto che una sintomatologia riconducibile al baby blues subito dopo la nascita del piccolo può essere considerata uno dei fattori di rischio più significativi per lo sviluppo della depressione post partum fino a 20 mesi dopo il parto» precisa Romeo.

Baby blues: come affrontarlo   

«I disturbi psichici del post partum possono alterare la relazione madre-bambino, influenzare gli sviluppi psico-affettivi e neurologici del bambino e ostacolare il clima gioioso che accompagna la nascita di un figlio» commento Romeo. «È importante, quindi, riconoscere subito il disagio al fine di garantire il benessere della madre, del bambino, degli eventuali altri figli e del partner». Può essere utile perciò che le donne vengano seguite da uno specialista per l’intera durata del post-partum, cioè fino a un anno di vita del piccolo.

«Basilare innanzitutto lavorare in ottica preventiva, facendo in modo che le donne possano conoscere i diversi step che accompagnano la gravidanza e il post partum, nonché i cambiamenti fisiologici e psichici che inevitabilmente si troveranno ad affrontare. Tutti gli operatori che sono a stretto contatto con le donne in attesa e le puerpere dovrebbero essere opportunamente formati nel trasmettere le corrette informazioni affinché la donna non si trovi impreparata ad affrontare una situazione sconosciuta» precisa Scarpellini. «Tutto questo è fondamentale per fornire gli strumenti necessari alla preparazione dell’apparato psichico alla maternità. La neomamma poi deve sentirsi legittimata nel chiedere aiuto e deve poter contare su servizi territoriali strutturati che possano accompagnarla in questa fase di grande cambiamento. Particolarmente indicati sono i gruppi dedicati alle mamme, un luogo di scambio, condivisione e confronto che possa fare sentire la donna non più sola ma parte di un sistema più ampio e variegato».

C’è poi un altro aspetto di cui tenere conto. «Un importante fattore di rischio per lo sviluppo del baby blues – ed eventualmente della depressione post-partum nei dodici mesi successivi al parto – è la presenza di problemi coniugali» precisa Romeo. «Perciò, non bisogna trascurare il partner che ha un ruolo chiave in questa fase e, proprio come la donna, può vivere un momento di difficile adattamento che non a caso si definisce con il termine di “paternity blues”.

La terapia di coppia potrebbe rappresentare un momento di incontro in cui entrambi i membri possono esprimere le proprie fatiche e allo stesso tempo accogliere quelle dell’altro. Nelle fasi critiche, come quella del post partum, è frequente assistere a momenti di grande tensione che talvolta causano un graduale distanziamento tra i partner e possono avere riflessi negativi anche sui figli. In questi casi è importante lavorare sugli scambi comunicativi e sull’apprendimento di strategie utili a gestire le interazioni. Qualora poi siano presenti altri figli all’interno del nucleo, la terapia familiare permetterebbe un lavoro integrato sull’intero sistema, in cui ogni membro è parte attiva del processo di adattamento alla nuova fase di vita. Un trattamento di questo tipo è molto utile al fine di generare un clima più equilibrato e armonioso tra le mura di casa e ridurre al minimo i fattori di rischio. Infine, è importante che la donna e la sua famiglia possano essere sostenute da un ambiente di riferimento supportivo e accogliente: nonni, amici, colleghi hanno un ruolo importante e fungono da fattori protettivi anche per il baby blues».

 

 
 
 

In sintesi

Il baby blues è una condizione di malessere, lieve e transitoria, che può cogliere le neomamme subito dopo il parto. È dovuta alle inevitabili difficoltà che la madre, ma anche il padre (non a caso si parla di paternity blues ,estendendo il problema alla coppia genitoriale) incontrano nell’adattamento a un ruolo del tutto nuovo. Diversi sono i fattori che entrano in gioco, che vanno da quelli di ordine fisiologico legati alle fluttuazioni ormonali a quelli che ruotano attorno alla concezione sociale e culturale del ruolo di madre. Il baby blues va, comunque, distinto dalla depressione post-partum, problematica di ordine psicologico ben più grave e duratura. In ogni caso, anche se temporaneo, il baby blues provoca una serie di sintomi come apatia, insonnia, nervosismo, crisi di pianto, scarsa propensione alla cura del piccolo che andrebbero riconosciuti alla loro comparsa. Il passo successivo è quello di affrontarli chiedendo aiuto a professionisti che possano fornire il supporto necessario perché i primi periodi con il bebè possano essere vissuti serenamente dalla mamma e da tutta la famiglia.

 

Fonti / Bibliografia

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