Tumore all’ovaio: ruolo protettivo dei lattobacilli?

Miriam Cesta A cura di Miriam Cesta Pubblicato il 04/10/2019 Aggiornato il 04/10/2019

Contro il tumore all'ovaio sembra funzionare l'attività protettiva dei lattobacilli, batteri cervicali in grado di contrastare la crescita di microrganismi patogeni

Tumore all’ovaio: ruolo protettivo dei lattobacilli?

Avere pochi batteri “buoni” nel canale cervicale potrebbe aumentare le possibilità per una donna di sviluppare il tumore all’ovaio. La notizia arriva da uno studio pubblicato sulla rivista Lancet Oncology da un gruppo di ricercatori dell’University College di Londra (Regno Unito).

Non esiste screening

Gli autori dello studio spiegano che la scoperta è importante perché potrebbe in futuro essere utilizzata per identificare le donne ad alto rischio di tumore all’ovaio, neoplasia per cui attualmente non esiste screening. La diagnosi precoce migliora le possibilità di successo dei trattamenti antitumorali, ma poiché i sintomi – gonfiore e disagio – possono essere scambiati per condizioni più comuni e meno gravi – come crampi mestruali o sindrome dell’intestino irritabile – spesso la diagnosi viene effettuata quando la neoplasia è in fase avanzata, riducendo le possibilità di cura per le pazienti che vengono colpite (più di 7.300 ogni anno solo nel Regno Unito).

Cosa sono i lattobacilli

Lo studio ha coinvolto diverse tipologie di donne: un gruppo aveva ricevuto una diagnosi di carcinoma ovarico, un secondo gruppo aveva geni ereditari ad alto rischio per questa neoplasia (Brca1 e Brca2), mentre l’ultimo gruppo era formato da donne senza rischio genetico noto. I ricercatori hanno quindi esaminato i campioni di batteri cervicali ottenuti dallo screening delle partecipanti allo studio. Per ogni campione è stata calcolata la presenza di lattobacilli, batteri “buoni” considerati particolarmente importanti  per la creazione di un pH vaginale protettivo: gli studiosi hanno così rilevato che i livelli di questi batteri erano significativamente più bassi nelle donne che avevano il carcinoma ovarico o in quelle portatrici dei geni ad alto rischio per questa neoplasia.

Altri fattori di rischio

Sebbene non sia ancora nota la causa (o le cause) all’origine del tumore all’ovaio, sono però conosciuti alcuni fattori che aumentano il rischio di sviluppare questa neoplasia: età, sovrappeso, storia familiare di carcinoma ovarico o mammario. Alla luce dei risultati ottenuti gli studiosi dell’University College di Londra ritengono ora che anche i batteri presenti nel canale cervicale potrebbero svolgere un ruolo nell’insorgenza della patologia.

Servono ulteriori studi

Usare il condizionale è d’obbligo dal momento che, come precisa Helen Callard, dell’associazione Cancer Research UK, “esistono diversi fattori che possono influenzare il rischio di sviluppare un tumore all’ovaio e diverse cose che possono influire sulla composizione dei batteri del canale cervicale, e non è sempre facile separare questi elementi. Dobbiamo ora scoprire come questi batteri potrebbero influenzare direttamente il rischio di sviluppare il carcinoma ovarico o se si tratta di un fattore completamente diverso”.

 

 

 
 
 

Da sapere!

Gli autori dello studio ritengono che i batteri vaginali buoni costituiscano una barriera protettiva per diverse altre infezioni, impedendo loro di migrare dal canale cervicale fino alle tube di Falloppio e alle ovaie.

 

 

Fonti / Bibliografia

  • Association between the cervicovaginal microbiome, BRCA1 mutation status, and risk of ovarian cancer: a case-control study - The Lancet OncologyThe presence of ovarian cancer, or factors known to affect risk for the disease (ie, age and BRCA1 germline mutations), were significantly associated with having a community type O cervicovaginal microbiota. Whether re-instatement of a community type L microbiome by using, for example, vaginal suppositories containing live lactobacilli, would alter the microbiomial composition higher up in the female genital tract and in the fallopian tubes (the site of origin of high-grade serous ovarian cancer), and whether such changes could translate into a reduced incidence of ovarian cancer, needs to be investigated.
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