Neonati prematuri

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Se il bebè nasce troppo presto

Piccoli, fragili e indifesi: sono i neonati prematuri, cioè nati prima della 37a settimana di gravidanza. In Italia capita a 40mila bimbi all’anno.
Ogni anno ne vengono al mondo 13 milioni, di cui 40mila solo in Italia. Sono bambini che cominciano la loro vita in salita, perché hanno bisogno di più cure, sostegno e aiuto. Nel nostro Paese sono circa il 10%, ma il numero è in crescita, a causa dell’aumento delle gravidanze a rischio.
In compenso, migliorano le condizioni di salute: se 50 anni fa solo il 25% riusciva a vincere la sfida della sopravvivenza, oggi si arriva al 90%. In relazione al peso, oggi sopravvive circa il 40%dei nati di 500-700 gr e fino all’80% di quelli che pesano più di 700 gr.

Neonati prematuri: un fenomeno in crescita

In Italia circa 13 neonati al giorno nascono prima del previsto. Le cause più frequenti sono la gemellarità e alcune complicazioni della gravidanza, come la gestosi (una malattia della gravidanza), la placenta previa (cioè inserita troppo bassa), il distacco della placenta o la rottura prematura delle membrane.
Anche problemi fisici della madre possono accelerare i tempi: diabete, pressione alta, fibromi, malformazioni all’utero o infezioni vaginali, così come abitudini negative come fumo, alcol o eccesso di peso.
Aumentano inoltre le probabilità l’età avanzata o troppo giovane della mamma, i lavori pesanti, un livello elevato di stress e ansia, il fatto di aver già partorito in anticipo o aver vissuto in precedenza gravidanze problematiche.
Non esistono esami in grado di calcolare il rischio di prematurità, che tuttavia può emergere dai normali controlli, nel momento in cui questi segnalano una situazione di rischio per il normale svolgimento della gestazione.

La vita inizia “in salita”

Un bambino nato prima del tempo non è ancora pronto per adattarsi alla vita fuori dal grembo materno: presenta infatti un’immaturità della maggior parte di organi e apparati.
L’entità dei danni varia in base al livello di prematurità: quella cosiddetta tardiva comprende le nascite a 3536 settimane, quella di media gravità comprende i nati tra la 35a e la 28a settimana, infine la prematurità estrema riguarda i bambini che vengono al mondo prima di aver completato la 28a settimana.
Maggiore è l’anticipo della nascita, più elevato è il grado di immaturità funzionale e, di conseguenza, la necessità di cure. I prematuri estremi sono quelli che rischiano di più: gravi difficoltà respiratorie, infezioni, emorragie cerebrali e possibilità di contrarre la retinopatia della prematurità, una malattia dell’occhio che può portare alla cecità.
Un bambino su 10 va incontro a danni neurologici permanenti, come la paralisi cerebrale infantile, o a deficit neurosensoriali. Tra 28 e 32 settimane il rischio principale è quello di una malattia respiratoria o infettiva, mentre sono meno frequenti le complicanze neurologiche.
Tutte le malattie della prematurità sono più rare dopo le 32 settimane. La possibilità di subire dei danni è influenzata anche dai fattori che hanno causato il parto pretermine, per esempio una rottura molto precoce del sacco amniotico.
Secondo l’Istituto superiore di sanità, tra i problemi più frequenti dei bimbi prematuri ci sono le infezioni dovute all’immaturità del sistema immunitario e ai numerosi trattamenti eseguiti in ospedale. Quest’evenienza è tenuta sotto controllo riducendo al minimo la manipolazione del neonato e con la somministrazione di antibiotici.
Molte complicanze possono emergere a distanza di tempo dalla nascita, per esempio difficoltà di comportamento, apprendimento o socializzazione, oltre a malattie dell’età adulta a carico del cuore, dei reni o del metabolismo.

Dal pancione all’incubatrice

Abituati a “nuotare” in un confortevole sacco di acqua calda, i piccoli faticano ad adattarsi a un ambiente fatto di aria fresca. L’incubatrice mantiene un clima “termoneutrale”, cioè tale da non sottoporre il bambino a nessuno sforzo metabolico per scaldarsi.
Per i piccoli nati a 33 o 34 settimane può bastare una settimana, mentre per quelli che non superano il mezzo chilo possono essere necessari anche uno o due mesi.
La durata del ricovero tiene conto anche di altri due fattori: l’acquisizione dell’autonomia respiratoria e cardiocircolatoria (solitamente più precoce rispetto alla capacità di termoregolazione) e la capacità di alimentarsi in modo autonomo.
Per i problemi respiratori, ai nati prima della 34a settimana viene somministrato il cortisone prenatale, un farmaco che stimola lo sviluppo dei polmoni. L’uso di cannule nasali o di un respiratore artificiale suppliscono all’insufficienza respiratoria fino alla completa autonomia.

Meglio il latte della mamma

L’autonomia nutrizionale dipende dalla capacità del bambino di succhiare e deglutire, che si acquisisce intorno alla 33a settimana di gestazione. Più precoce è la nascita, maggiore è il tempo necessario a raggiungere questa abilità.
Nel frattempo l’alimentazione avviene per via parenterale, prima con flebo, poi con sondini inseriti nello stomaco, attraverso i quali vengono somministrate modeste dosi di latte, graduamente aumentate nel corso dei giorni.
L’ideale è che il piccolo venga nutrito con il latte materno. I prematuri nutriti con il latte della mamma, infatti, risultano più protetti dalle infezioni e favoriti nello sviluppo fisico e neurologico.
Se il piccolo non può iniziare subito a poppare, è importante che la mamma stimoli la lattazione spremendo il seno nelle prime ore dopo il parto.
Il latte pretermine tende ad avere alti valori proteici e ha una densità calorica maggiore di quello “maturo”: nelle prime tre settimane di vita del bambino, è l’alimento ideale per la sua crescita.
Dopo 20 giorni circa la composizione del liquido cambia, per assomigliare sempre di più al latte prodotto dalle donne che hanno partorito a termine.
A questo punto, se il latte non è più sufficiente a soddisfare le esigenze nutrizionali del piccolo (ciò dipende dal grado di prematurità), può essere presa in considerazione la possibilità di aggiungere sostanze fortificanti, come proteine e sali minerali.

Al primo posto il benessere dei piccoli

I nati prematuri devono subire, spesso per lunghi periodi, interventi dolorosi e manovre invasive. Per questo sempre più importanza viene data al concetto di “cura centrata sul bambino”, che consiste in una serie di pratiche utili al benessere del piccolo, come l’abitudine di favorire la vicinanza dei genitori o la gestione del dolore tramite particolari procedure o farmaci.
Uno studio italiano evidenzia che i prematuri con un alto livello di cure assistenziali presentano condizioni di salute più stabili e livelli più bassi di stress. Al termine della degenza, i genitori vengono istruiti dal personale del reparto sulla gestione del bambino; è previsto anche un colloquio con i medici che seguiranno il piccolo dopo le dimissioni.
Vengono programmati controlli fino all’età scolare: per i nati con peso inferiore a 1 kg, 5 visite nel primo anno e 1 ogni 6 mesi fino a 6 anni. Per i neonati con peso maggiore, le visite sono più diradate, ma la frequenza è stabilita in funzione delle problematiche del piccolo.

Intervenire presto è di vitale importanza

La sopravvivenza di un bambino pretermine dipende anche dalla rapidità con cui vengono intraprese le prime cure. È fondamentale riconoscere i segnali di un parto prematuro e recarsi il prima possibile in una struttura dotata di un reparto di terapia intensiva neonatale, l’unico in grado di gestire questo tipo di situazioni.
I sintomi a cui prestare attenzione sono la comparsa di contrazioni dolorose al basso ventre, le perdite di sangue o la fuoriuscita di liquido aminiotico. A volte il riposo e l’uso di farmaci tocolitici, in grado cioè di inibire le contrazioni, possono rimandare di qualche giorno la nascita del bambino.

Dalla parte della mamma

Anche la mamma può vivere come un trauma la prematura separazione dal figlio. Una ricerca condotta su 1.300 donne di 13 Paesi rivela che le mamme di neonati pretermine soffrono di ansia, sensi di colpa e impotenza, dovute soprattutto alla sensazione di non aver portato a termine il proprio compito. Per questo è fondamentale andare a trovare spesso il bambino durante la degenza.
Oggi le terapie intensive neonatali prevedono la possibilità per i genitori di accedere 24 ore su 24 e consentono di effettuare la marsupioterapia. La mamma può tenere in braccio il bambino, allattarlo o solo avvicinarlo al seno, anche se il piccino non succhia: le areole emanano calore e ciò aumenta il contatto fisico.

Fonti / Bibliografia

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