Neonato abbandonato: perché è importante non giudicare la mamma

Roberta Raviolo A cura di Roberta Raviolo Pubblicato il 17/04/2023 Aggiornato il 17/04/2023

In troppi hanno parlato del caso del neonato abbandonato a Milano. Rispettiamo il grande gesto di amore della mamma.

Neonato abbandonato: perché è importante non giudicare la mamma

Interveniamo anche noi, brevemente, sul caso del neonato abbandonato a Milano ad aprile. Più che abbandonato, sarebbe corretto dire che è stato affidato alla sicurezza della culla termica o culla della vita di un grande ospedale, dove il personale sanitario che l’ha preso in carico si sta occupando di lui e gli troverà una famiglia. Una famiglia che lo accoglierà con un gesto di amore, grande tanto quello della donna che l’ha “abbandonato”. Non è stato il solo caso: qualche giorno dopo, un’altra piccola nata da poco è stata lasciata dalla mamma a un altro grande ospedale pediatrico milanese.

Troppi discorsi sul bimbo affidato alla culla termica

Entrambe le notizie sono trapelate a livello divulgativo e, soprattutto nel primo caso, sono state corredate da un susseguirsi di inviti comportamentali – sia pure espressi in buona fede – alla madre naturale del piccolo. Le è stato chiesto accoratamente di ripensarci, perché un neonato abbandonato ha bisogno della sua “vera mamma”. Sono state avanzate proposte di aiuto economico, dando per scontato che la difficoltà della donna fosse solo di questo tipo. È stato stigmatizzato il fatto che in una città come Milano nessuno avesse compreso che quella persona era a tal punto in difficoltà da non potersi occupare del piccolo. Sono state avanzate illazioni su di lei: forse era troppo giovane, forse era un personaggio celebre. Nessuno ha pensato al legittimo desiderio della donna: lasciare il proprio piccolo al sicuro, rinunciando a lui dopo un percorso di dolore e sofferenza, durato per tutta la gravidanza e maturato nella prima settimana di vita del piccolo.

Neonato abbandonato, il più grande gesto di amore

“Le donne che decidono di rinunciare al proprio bambino sono in una situazione di estrema crisi personale e il gesto provoca in loro un dolore enorme” spiega Mariavittoria Rava, presidente della Fondazione Francesca Rava che, assieme al Network KPMG, nel 2008 ha dato vita a “ninna ho”, primo progetto nazionale contro l’abbandono neonatale e l’infanticidio (ninnaho.org). “L’atteggiamento corretto è aiutarle e non giudicarle, perché la decisione di rinunciare al bimbo è il segnale di un amore gratuito, che non chiede nulla in cambio. La scelta di lasciare il figlio nella culla termica è una immane rinuncia, da parte di una persona che sacrifica una parte di se stessa per assicurare al bambino la possibilità di avere un futuro”. È quindi semplicistico e superficiale ammonire la donna, consigliandole di ripensarci, di andare a riprenderlo: già in questo c’è un giudizio, l’involontaria intenzione di far sentire sbagliata, cattiva, dopo la difficile decisione di tenerlo e lo strazio di dirgli addio. E c’è anche una critica verso la famiglia adottiva, che prosegue il gesto di infinito amore della madre biologica nell’accogliere il piccolo e garantirgli il futuro. Senza contare che le critiche dimostrano anche una non conoscenza delle norme in vigore: fin dal 2000 esiste una legge che garantisce alla donna di mettere al mondo il proprio figlio in sicurezza, in totale anonimato, decidendo poi di darlo in adozione.

È anche colpa di una realtà che non funziona

Colpisce il fatto che in questa vicenda siano stati uomini a esprimersi, a invitare la donna a tornare sulla propria decisione. Un paradosso, visto che nel caso del bimbo abbandonato, come anche in quello della bambina lasciata al Buzzi di Milano qualche giorno dopo, non c’è traccia del padre. “A volte può capitare che il padre sia assente e quindi abbia già preso la decisione dell’abbandono” aggiunge Mariavittoria Rava. “Eppure, dell’abbandono del padre non si parla quasi mai. Quindi non bisogna stigmatizzare, piuttosto è urgente porsi il problema di una realtà disfunzionale della quale è stata vittima la donna, composta da frammenti che vanno prima rimessi a posto”. Nel nostro paese, secondo gli esperti, non sono quasi mai i problemi economici a portare a certe decisioni. È quasi sempre colpa di una forma di violenza psicologica, di minaccia sociale, di mancanza di sostegni familiari e di tanta solitudine.

La nascita non sempre è un evento felice

“L’abbandono di bambini è sempre legato a situazioni dolorose e complesse, che vanno al di là della tendenza comune ad idealizzare la maternità, come un’esperienza unicamente positiva”, spiega la dottoressa Cristina Venturino, responsabile del Centro di Psicologia Istituto Giannina Gaslini di Genova. “Nell’immaginario collettivo la nascita di un bambino è un evento straordinario, che porta con sé solo emozioni positive. In realtà la transizione alla genitorialità è un percorso di adattamento fisico, psicologico e sociale che può comportare momenti di difficoltà, anche nel caso delle donne che non hanno problemi personali, economici, che vivono in un contesto familiare stabile. Se poi una donna ha difficoltà concrete, può non riuscire a rispondere adeguatamente alle richieste della sua nuova condizione, che è impegnativa, con un neonato da crescere soprattutto se si è sole”. Questo non significa che non si ami il bambino, anzi: “Il bimbo della culla termica a Milano è stato lasciato con una lettera traboccante di affetto, dalla quale si comprende sì l’enorme dolore, ma anche la consapevolezza di non potersene occupare. Il gesto d’amore più grande nei confronti di un figlio è quello di affidarlo”. Si tratta insomma di una scelta da rispettare.

Occorre più informazione per le future mamme

Purtroppo c’è una scarsa informazione rispetto agli strumenti di prevenzione di questi distacchi traumatici. Oltre a mettere a disposizione le culle per la vita, la legge italiana consente anche il parto in anonimato che permette alla donna di partorire in ospedale nella massima sicurezza e tutela per il bambino e successivamente di non riconoscerlo. Negli ultimi anni i servizi territoriali, in particolare i consultori familiari, sono però stati depauperati di personale e di risorse e quindi le donne più fragili, come le minorenni e le straniere, si trovano a essere ancora più sole, a non sapere dove rivolgersi e quindi sono spinte a scelte estreme nella paura e nella solitudine. Vivere l’esperienza della gravidanza in assenza di relazioni affettive stabili, in un contesto sociale fragile, senza adeguati supporti familiari aumenta il rischio dell’abbandono.

Non è colpa della depressione

Vanno infine considerate problematiche come l’ansia e la depressione post partum o nel puerperio, spesso sottostimate. Una caratteristica delle culle per la vita è proprio il totale rispetto della privacy di chi deposita il neonato. “Il modo in cui la mamma ha lasciato il piccolo lo tutela da tutti i punti di vista ed esprime la lucida consapevolezza di aver fatto la scelta migliore per lui, in una condizione in cui non le è stato possibile accogliere la sua maternità”. Questa madre ha optato per un futuro positivo per il proprio figlio ed è solo a questo che dobbiamo pensare.

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