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<<Non c’è un vero motivo per cui li ho uccisi. Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Oppresso. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio…Era un po’ che pensavo di farlo…>>. Così Riccardo, il 17enne di Paderno Dugnano che ha sterminato la propria famiglia, uccidendo con un coltello prima il fratellino di 12 anni, poi la madre quindi il padre, ha spiegato il suo gesto alle autorità, dopo essere stato arrestato.
I vicini di casa lo hanno descritto come un ragazzo sereno, tranquillo, un bravo studente, uno sportivo, ma davvero possiamo pensare che fino a quel momento non avesse mostrato alcun segno allarmante? Che il suo impulso omicida, peraltro covato da un pezzo (la premeditazione è già stata appurata) non si fosse manifestato in alcun modo prima della maledetta notte tra sabato 31 agosto e domenica 1° settembre?
<<Sono certa che questo ragazzo abbia lanciato precisi segnali di squilibrio, almeno in famiglia. Stiamo parlando di una cosiddetta “personalità malevola” che di problemi ai genitori di sicuro ne ha creati. È ovvio però che né la madre né il padre avevano gli strumenti per leggerli e quindi per prevedere che il figlio sarebbe potuto arrivare a tanto>> afferma la dottoressa Roberta Bruzzone, psicologa forense e criminologa investigativa. Poi continua spiegando che non stupisce il fatto che le persone estranee alla famiglia ne abbiano parlato come di un ragazzo tranquillo, per bene. <<È tipico di questi soggetti, al di fuori dalle mura di casa, dare di sé un’immagine rassicurante, che maschera alla perfezione la carica d’odio che li opprime e governa. Ma in famiglia i suoi sentimenti di rancore, il suo desiderio di rivalsa non potevano non trapelare. Purtroppo, ripeto, i genitori non hanno saputo interpretarli e forse non hanno neppure voluto vederli. In ogni caso, il prezzo che hanno pagato è immensamente alto>>.
I segnali di allarme
Le domande che tanti genitori si sono fatti di fronte a questo agghiacciate fatto di cronaca è: si poteva prevedere questo gesto? E se sì, quali segnali avrebbero dovuto mettere sull’avviso? <<In realtà, non si può dire che i genitori avrebbero potuto prevedere una simile tragedia. Nessun genitore può arrivare a pensare di morire per mano di un figlio né che un figlio possa uccidere il proprio fratello. Però esistono atteggiamenti che devono suggerire che c’è qualcosa che non va nell’adolescente>> assicura la dottoressa Bruzzone che quindi ci elenca i segnali di pericolo più eloquenti e che non dovrebbero mai essere trascurati, ovvero:
- la competitività feroce,
- il bisogno costante di essere al centro dell’attenzione,
- l’incapacità di sopportare la minima frustrazione,
- la tendenza a mentire soprattutto riguardo le proprie abilità,
- gli scatti d’ira,
- i moti aggressivi,
- la non accettazione della sconfitta,
- la volontà di prevaricare durante il gioco per vincere a tutti i costi,
- la gelosia mai sopita nei confronti dei fratelli (o, come in questo caso, del fratello minore).
La gelosia: il probabile movente
<<Voglio soffermarmi su quest’ultimo nodo che considero il più critico: la gelosia>> prosegue la criminologa. <<Il sentimento di rivalità nei confronti di suo fratello Lorenzo, di cinque anni più piccolo, evidentemente era così violento, fin dalla nascita del bambino, da fare di Riccardo un ragazzo dalla personalità disturbata. Una personalità narcisistica, direi, incapace di tollerare oltre la presenza del fratello, vissuto da sempre come un intruso, come un usurpatore>>.
La dottoressa Bruzzone prosegue, spiegando che Lorenzo è nato quando Riccardo aveva cinque anni, cioè in un’epoca della vita delicatissima, durante la quale diventa particolarmente importante che i genitori sappiano gestire in modo strategicamente efficace l’eventuale nascita di un fratellino o di una sorellina. <<È proprio tra i cinque e i sei anni che i genitori, nel caso in cui arrivi un altro bambino, devono essere abilissimi nel contenere la gelosia del fratello maggiore, affinché sia e rimanga un sentimento naturale che a poco a poco sfuma lasciando il posto all’accettazione, all’accoglienza fino alla benevolenza nei confronti del piccino di casa. Il segreto è non fare mai, neppure per un istante, sentire il primogenito spodestato, privato dei suoi diritti acquisiti, dell’attenzione dei genitori o, peggio, del loro affetto>>.
Va da sé che le premure nei suoi confronti devono essere moltiplicate ed è fondamentale farlo sentire ancora, esattamente come prima, amato e accudito. <<I genitori dovrebbero monitorare attentamente la gelosia del primogenito, perché solo intervenendo tempestivamente con tatto, sensibilità e affetto, allo scopo di alleviare la sofferenza che di fatto prova, diventa possibile impedire che in lui si inneschi un processo malvagio che, con l’ingresso nella piena adolescenza, può portare a compiere gesti estremi>>.
Il ruolo dell’educazione
Quale peso ha il tipo di educazione ricevuta da un bambino che da adolescente arriva a compiere gesti di inaudita ferocia? Anche questo è un interrogativo che si sta facendo sempre più insistente. <<Non posso che rispondere “moltissimo”>> dichiara la dottoressa Bruzzone. <<L’iperprotettività, la costante deresponsabilizzazione e l’esaltazione dei “presunti” talenti dei figli da parte dei genitori di oggi è la grande corresponsabile dello sviluppo di personalità malevole, poco empatiche, con la tendenza a credersi onnipotenti. Risolvendo ai bambini e poi agli adolescenti qualunque problema, eliminando dalla loro strada ogni ostacolo, non osando mai pronunciare un “no”, così come evitando di imporre regole per osservare le quali sia necessario compiere piccoli sacrifici si inducono i figli a credere di poter fare e avere tutto quello che vogliono. Tutto e subito e guai se così non è>>.
Da qui, secondo la criminologa, il cui pensiero è condiviso da vari esperti di psicologia dell’età evolutiva, l’idea che per ottenere quanto si pretende, nonché per eliminare qualsiasi intralcio, si possa arrivare a uccidere. Riccardo evidentemente non voleva suo fratello e desiderava punire i genitori per averlo messo al mondo e ha agito di conseguenza, senza esitazione prima, e senza rimorsi poi.
Quando chiedere aiuto
<<Sono sicura che i genitori sappiano capire perfettamente quando un bambino e poi un adolescente sta passando i limiti delle intemperanze accettabili, cioè assume atteggiamenti che non possono essere liquidati come semplici capricci né, più avanti, giustificati dall’arrivo della pubertà>> sostiene la dottoressa Bruzzone, che poi continua affermando che i vari segnali sopra elencati, anche se non sono presenti tutti insieme, devono essere interpretati come campanelli d’allarme a cui dare ascolto per poi rivolgersi a un esperto.
<<Un figlio che si dimostra spesso di cattivo umore, è aggressivo o scostante o arrabbiato, tende a isolarsi, non sa giocare, non partecipa alla vita familiare, tiene il muso, è distante, respingente, mai affettuoso potrebbe aver bisogno di aiuto e sarebbe alquanto pericoloso sottovalutare questa sua possibile necessità>>. La figura idonea a gestire bambini e adolescenti che manifestano segnali che destano preoccupazione è uno psicoterapeuta che si occupi di problematiche relative alla personalità.
Foto di copertina: la dottoressa Roberta Bruzzone, psicologa forense e criminologa investigativa