I battiti del cuore sono di numero “finito”?

Professor Antonio Zaza A cura di Professor Antonio Zaza Pubblicato il 05/11/2019 Aggiornato il 07/11/2019

L'ipotesi che ogni essere umano possieda un numero predefinito di battiti cardiaci, esaurito il quale la vita finisce non ha fondamento scientifico.

Una domanda di: Micaela
Ho letto che Neil Amstrong era convinto che ogni essere umano avesse un numero finito di battiti cardiaci oltre i quali il cuore va in arresto per forza. Ho pensato che può esserci del vero e che questo spiegherebbe la ragione per cui le forti emozioni lo stress (e quant’altro determina l’accelerazione del battito) sono dannosi per il cuore. Il numero in dotazione alla nascita potrebbe essere influenzato dalla familiarità ma poi l’ambiente (malattie include) potrebbe ridurlo, ma non allungarlo: questa è la mia ipotesi!
Ho poi scoperto che anche Stephen Jay Gould, grande studioso dell’evoluzionismo, in un saggio si è posto una domanda del genere. Vi sarei davvero grata se un cardiologo mi dicesse come stanno le cose.

Risponde il professor Antonio Zaza, cardiologo, professore di fisiologia, si occupa di ricerca di base sui meccanismi delle aritmie cardiache. https://www.unimib.it/antonio-zaza

Cara Lettrice,
la sua domanda è pienamente giustificata; l’osservazione che animali caratterizzati da una frequenza cardiaca bassa (per esempio, tartaruga, balena) sono particolarmente longevi è tanto suggestiva da essere stata utilizzata per reclamizzare un farmaco che abbassa la frequenza.
Tuttavia, non bisogna farsi ingannare dall’apparenza. L’osservazione ha due possibili spiegazioni: può significare che la frequenza bassa allunga la vita, oppure che la vita lunga e la frequenza bassa derivano da una causa comune. Non conosco l’argomentazione evoluzionista, ma dal punto di vista medico, la seconda spiegazione è decisamente più plausibile: il metabolismo relativamente “lento” che accomuna quegli animali (se la immagina una tartaruga iperattiva!?) può spiegare sia la frequenza bassa che la longevità. Il danno da “stress” è un buon esempio della stessa relazione: le catecolamine (segnali chimici prodotti in condizioni di stress) aumentano la frequenza cardiaca, ma fanno un mucchio di altre cose potenzialmente dannose nel lungo termine. Quindi, seguendo la logica di prima, non è affatto detto che abbassando la frequenza cardiaca si riduca il danno da stress. Anzi, esiste evidenza che una ridotta risposta della frequenza cardiaca alle catecolamine sia pericolosa.
In conclusione, l’ipotesi (un po’ angosciante) che ogni inviduo abbia nella sua vita, “un numero finito di battiti cardiaci oltre i quali il cuore va in arresto per forza” è fortunatamente priva di fondamento. Purtroppo a un certo punto si muore lo stesso, ma sono altri i meccanismi che limitano la durata massima della vita. Sebbene una elevata frequenza cardiaca possa essere indice di malattia, non è nemmeno vero che una frequenza maggiore si associ, di per sé, a minore longevità. Con cordialità.

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