Autismo: c’è un test prenatale per scoprirlo?

Dott. Leonardo Zoccante A cura di Dott. Leonardo Zoccante Pubblicato il 04/02/2020 Aggiornato il 14/02/2020

Si è ancora lontani dalla possibilità che l'autismo venga individuato durante la vita prenatale, mentre la ricerca ha fatto passi da gigante sul fronte della diagnosi precoce, addirittura intorno ai 14 mesi di vita.

Una domanda di: Laura
Buongiorno, vorrei sapere se c’è un test per sapere se un figlio nascerà autistico? Grazie.
Leonardo Zoccante
Leonardo Zoccante

Gentile Signora Laura,
rispondo a questa sua domanda interessante che solleva una tematica che ritengo davvero molto di attualità. Con la parola “autismo” si intende uno spettro di disturbi tra loro eterogenei che interferiscono sullo sviluppo delle capacità comunicative e delle abilità di interazione, accompagnandosi ad una alterazione del comportamento (triade di Kanner, descritta nel 1943 ). Gli sforzi della ricerca scientifica sono attualmente rivolti a individuare, già nel primo anno di vita, alcuni segni precoci che possano anticipare e far prevedere lo sviluppo del disturbo autistico e consentirne una diagnosi già entro i primi anni di vita. Da tempo vi sono studiosi che approfondiscono i diversi fattori causali: da quelli ambientali a quelli genetici. Quello che oggi sappiamo in merito alla componente genetica dell’autismo deriva dalle ricerche che negli ultimi anni sono state condotte sia sui campioni biologici delle persone affette sia su quelli dei loro familiari di primo grado, fratelli o genitori, a cui ha fatto seguito uno studio di correlazione in apposite banche dati tra il genotipo ( il patrimonio ereditario e cromosomico ) e il fenotipo (insieme delle manifestazioni espresse dai geni ). A partire da semplici prelievi di sangue, possono essere svolte sofisticate analisi non solo sul DNA ma anche sul plasma e l’ RNA, mirate alla ricerca di “biomarcatori” che possano collimare con alcune caratteristiche cliniche osservate dal neuropsichiatra infantile in ambulatorio. Si è scoperto che molti sono i fattori causali in gioco, sia ambientali sia ereditari, e che questi possono rendere ragione dell’esordio di un disturbo autistico o sostenerne le tipiche caratteristiche evolutive a livello di cognitività e capacità comunicative. Alcuni geni responsabili possono essere individuati mediante il semplice studio degli esomi ( l’uno per cento del DNA che codifica per proteine ); altri invece solo mediante l’analisi dell’intero genoma 1. Anche le modalità di alterazioni genetiche finora descritte sono molteplici: si passa infatti da geni con variazione di numero ( la neuroligina, la neurexina, per esempio ) a mutazioni che interessano più geni nel 10-20 per cento dei casi, per terminare poi su una piccola quota di casi in cui vi è una compresente mutazione su geni notoriamente legati ad altre sindromi genetiche (la sindrome dell’ X fragile o di Angelman). Non da ultimo esiste una parte della genetica medica dedita alla caratterizzazione delle proteine, vale a dire la “proteomica”, che ha recentemente segnalato un ruolo significativo nella connettività tra cellule neuronali della Caderina 9 e 10, codificate a partire dal cromosoma 5.
Rispondendo nello specifico alla domanda da lei posta, posso dirle in tutta onestà che ci troviamo su di un terreno ancora tutto da esplorare. Esistono a livello sperimentale, delle ricerche che suggeriscono come alti livelli di testosterone nel liquido amniotico tra la 14ma e la 20ma settimana di gravidanza possano essere correlati a un maggior rischio di sviluppo dell’autismo 2, disturbo che in effetti ha una prevalenza nei maschi, con rischio stimato intorno allo 0,6 per cento. Non è tuttavia ancora noto quale possa essere effettivamente il potere predittivo di tale dosaggio sul liquido amniotico, né quale sia il valore soglia dell’ormone nel liquido amniotico che possa determinare un incremento del rischio. Al momento, grazie a un lavoro congiunto tra neuropsichiatri infantili e pediatri di libera scelta, siamo coinvolti in prima linea nella identificazione di quei segni che sono precocemente manifesti ai monitoraggi di sviluppo e che consentono di suggerire una diagnosi il più possibile anticipata di autismo, talvolta già ai 14 mesi di vita, senza più attendere, come avveniva in passato, diagnosi di certezza poste dopo il compimento del secondo o terzo anno. Ci tengo particolarmente a sottolineare che avere oggi la possibilità di porre una diagnosi precoce e, dunque, di poter effettuare una presa in carico già nella primissima infanzia rappresenta una importante sfida e avanzamento in campo medico. Una diagnosi precoce significa avere la possibilità di organizzare e modulare interventi sanitari più tempestivi e specifici di supporto alla persona e alle famiglie. Interventi sanitari tempestivi consentono di ottenere un maggior compenso intellettivo e inserimento sociale in età adulta. Già nei primi anni ‘90, ricordo che quando ero stagista in Svezia presso la Child Neuropsychiatric Clinic con il professor Christofer Gilberg, si parlava tanto dei “senia minima” dell’Autismo, cioè di quelle sfumate differenze in termini di abilità di gioco e di imitazione che consentivano al clinico di distinguere quei bambini che sarebbero andati incontro a un neurosviluppo atipico. Si poneva allora attenzione a diversi elementi clinici: la ripetitività comportamentale, le atipie nell’interazione con stimoli ambientali, la grossolanità del movimento e la inappropriatezza delle abilità linguistica (studio ESSENCE, C. Gilberg ). Oggi finalmente, anche in Italia, molti dei “senia minima” di cui si parlava allora vengono ormai abitualmente presi in considerazione da parte dei pediatri di libera scelta nell’ambito dei monitoraggi di sviluppo e sono un loro utile parametro per decidere se effettuare un invio allo specialista. Esiste, per esempio una scala clinica denominata m-CHAT, impiegata tra i 18 e i 24 mesi di vita, che è in grado di mettere in luce aspetti attentivi, linguistici e di interazione sociale, fondamentali per un invio tempestivo della persona all’attenzione dello specialista Nneuropsichiatra Infantile. A queste ultime scale sono state inoltre affiancate nei servizi pediatrici anche valutazioni della sfera neuromotoria, nella convinzione che un ritardo nell’acquisizione delle tappe motorie possa avere un peso anche sulla traiettoria di sviluppo psico-cognitivo. Accanto alle più tradizionali osservazioni sul livello di interattività tra genitori e figli, vengono infatti descritte con maggiore attenzione anche le competenze motorie raggiunte: il cammino, le abilità costruttive manuali, la scrittura di parole, la capacità di indicare parti del corpo, la manipolazione di oggetti comuni e così via. Questo cambiamento di approccio consente ora di limitare al massimo il numero di bambini con disturbo autistico che sfugge a una diagnosi e presa in carico neuropsichiatrica dopo i 4 anni.
In risposta alla sua domanda, ritengo utile infine sviluppare il tema dei tre maggiori filoni di ricerca sulla individuazione dei soggetti a rischio mediante l’ausilio delle nuove tecnologie per la diagnosi precoce: l’analisi dei General Movements, l’ Eye tracking e l’Analisi del Pianto del neonato, di recente introdotti nei Centri di Alta Specializzazione.
Tra i 6 e i 12 mesi, nel corso delle traiettorie di sviluppo, possono essere registrati movimenti spontanei “atipici” che compaiono durante il movimento finalizzato o durante il movimento ripetitivo. In particolare quest’ultimo è di strategica importanza per raggiungere un adeguato apprendimento psico-motorio. Per ciascuna tappa di sviluppo è atteso che un bambino possieda uno specifico repertorio di comportamenti e patterns motori in relazione all’ambiente. Nei casi in cui venga a manifestarsi una progressiva restrizione degli interessi, un ritardo di acquisizione delle abilità grosso-motorie e la comparsa di stereotipie motorie può essere stimato un maggiore rischio di autismo. Analoga considerazione può essere fatta per quanto riguarda lo sviluppo delle abilità motorie e la qualità delle prestazioni motorie. L’impiego ospedaliero di sistemi optoelettronici di rilevazione del movimento tra la 20ma settimana di vita e i 12 mesi, rappresenta un importante contributo per individuare anomalie del movimento spontaneo o finalizzato nei diversi distretti corporei. In particolare queste macchine ci permettono di distinguere schemi (patterns (schemi) ripetitivi a prevalenza assiale ( testa-collo-tronco ) dapatterns ripetitivi agli arti superiori ( spalla-braccia-polso) o inferiori ( ginocchio-gamba-caviglia ). Apposite telecamere registrano videoclips del bambino in cui poi è possibile calcolare con esattezza sul tempo registrato la durata percentuale del movimento nonché la sua frequenza di comparsa. Frequenze particolarmente elevate e associate a una più persistente durata del movimento, così come il rilievo di un repertorio motorio più povero e grossolano sembrerebbero correlare con lo sviluppo di autismo. La presenza di movimenti ripetitivi in sede solamente unilaterale sembrerebbe associata ad uno sviluppo neurotipico; movimenti ripetitivi in sede bilaterale sui quattro arti potrebbero invece comportare un incrementato rischio di neurosviluppo atipico.
Un secondo strumento a cui mi sono interessato per poter valutare l’attenzione congiunta è l’apparecchio dell’Eye tracking. Si tratta di un computer in grado di registrare i movimenti di sguardo che un bambino compie nella interzione con protocolli visivi predefiniti. Viene misurata sia la capacità di localizzare un target nel campo visivo, sia quella di inseguimento spaziale di uno stimolo visivo. I dati preliminari delle ricerche in corso hanno dimostrato un’importante relazione tra le abilità di attenzione congiunta rilevate dall’Eye tracker e lo sviluppo delle abilità sociali, come la risposta al richiamo uditivo, la tenuta del contatto oculare e il richiamo alla pronuncia del nome5. Punteggi particolarmente bassi ottenuti nell’ inseguimento degli stimoli visivi sul monitor dell’ Eye tracking sembrerebbero associati a una maggiore ripetitività comportamentale e minore socio-affettività con interferenza sulle capacità linguistiche.
Un terzo strumento del tutto non invasivo che può essere impiegato già a partire dalla nascita e fino alla 24esima settimana, anche eventualmente in contesti domiciliari, è lo strumento di Analisi del Pianto, costituito solitamente da un microfono, da un device audio e da un laptop 6. Il pianto rappresenta la forma più precoce di comunicazione che viene stabilita nel confronto del bambino con i suoi genitori. Nel Disturbo Autistico però compare già precocemente una alterazione nell’interpretazione degli stimoli ambientali e nella pianificazione delle risposte comportamentali. In base alle due maggiori tipologie di pianto, quello legato alla richiesta di cibo e quello legato alla noia, possono essere riconosciute caratteristiche peculiari in termini di frequenza, di lunghezza degli episodi e di risonanza sonora. Queste ultime caratteristiche del suono emesso corrispondono poi a tratti salienti della coordinazione motoria più generale. In particolare la familiarità per Autismo ha un ruolo particolare nel determinare le caratteristiche del pianto. Sono state di recente realizzate intere librerie di registrazioni video che riprendono in particolare il momento in cui il bambino transita da uno stato di quiete a uno stato di pianto. Ai video vengono associati anche i files del segnale audio con i dati relativi sulla da lunghezza del pianto e sull’ ampiezza e risonanze di frequenza. Benché non esistano parametri relativi al pianto che con sicurezza possano essere tenuti in considerazione ai fini della diagnostica precoce dell’Autismo, i dati preliminari suggeriscono che una ridotta lunghezza degli episodi con annessa riduzione nella frequenza possano essere rilevati nelle persone con aumentato rischio per Autismo. Al contrario la condizione di neurotipicità presenta una variabilità più ampia nelle caratteristiche che le due tipologie di pianto presentano tra loro. Numerosi altri studi saranno richiesti in futuro per giungere a una maggiore standardizzazione nelle procedure di intercettazione precoce dei segni dell’autismo. Ma la ricerca su questo ambito è già al galoppo su numerosi fronti. Nel ringraziarla per aver posto questa domanda, la saluto cordialmente.

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