Salve dottore, mio figlio di 7 mesi sta iniziando a rifiutare il latte in formula. Ogni giorno riduce sempre di più la quantità di latte che assume. Lui è intollerante alle proteine del latte vaccino, infatti prende un latte in formula a base di aminoacidi. Stiamo iniziando ad inserire gradualmente il manzo nella sua alimentazione con mezzo cucchiaino di omogeneizzato al giorno. Cosa posso proporre in sostituzione al latte? Yogurt vegetali potrebbero andare bene? Grazie.
Giorgio Longo
Gentile signora, può proporre gli yogur vegetali, tuttavia gli yogurt normali (specie quello greco) contengo meno lattosio (ma non nulla) e quindi possono essere meglio “tollerati” rispetto al latte. Stesso discorso per altri derivati del latte come i formaggi stagionati dove, anche in questo caso, il lattosio viene “fermentato” (degradato) dai batteri utilizzati per la preparazione. Alcuni sono praticamente assenti di lattosio (parmigiano reggiano e grana padano), altri con quantità molto basse come per esempio Emmental e Fontina, o assente come nel gorgonzola (unico formaggio molle senza lattosio). In generale posso dire che l’assenza di lattasi (enzima necessario per la digestione del lattosio che è lo zucchero contenuto nel latte) nel lattante esiste, ma è una condizione genetica rarissima (quasi da non pensarci mai), salvo che nei prematuri dove però si assiste ad una rapida risoluzione (maturazione) del difetto con la crescita. Detto questo, sull’intolleranza al lattosio vi è molta confusione. Questo perché ci sono diversi tipi di intolleranza al lattosio, ma specialmente perché ogni singolo soggetto ha caratteristiche cliniche molto eterogenee, sia per intensità che per gravità e non tutte riportabili alla sola e semplicistica “intolleranza al lattosio”. Innanzi tutti va ricordata la più rara, ma di certo la più importante intolleranza al lattosio “secondaria” al danno della mucosa dell’intestino tenue (sede della produzione delle lattasi) e che trova nella celiachia la causa prima e da non dimenticare mai. Per quanto riguarda invece l’intolleranza di gran lunga più comune, quella non secondaria a malattie dell’intestino, è fondamentale sapere che nel nostro intestino la capacità di “digerire” il lattosio (produrre l’enzima “lattasi” che scinde il lattosio nelle due molecole che lo compongono, glucosio e galattosio e che solo così possono essere assorbite) è fondamentale nei primi anni di vita (e non serve spiegare il perché) ma, per lo stesso motivo, è destinata ad un progressivo decadimento con l’avanzare dell’età. Di fatto nella stragrande maggioranza della popolazione mondiale (africani, asiatici e sudamericani) le lattasi vengono meno già dopo i primissimi anni di vita (diciamo alla fine dell’allattamento materno), mentre le popolazioni europee, di origine caucasica, in virtù di una variante genetica, riescono a tollerare il latte più a lungo, anche e ben oltre l’età adolescenziale. Questo rende facile comprendere, o almeno intuire, che anche tra noi europei, che il latte e i suoi derivati continuiamo a consumarlo, troviamo larghissime variabilità individuali nella quantità tollerate di latte e suoi derivati. Come dire che essere tolleranti o intolleranti è un fatto individuale, relativo alla quantità di latte che riusciamo ad ingerire senza avere gli spiacevoli sintomi gastrointestinali che il lattosio non digerito comporta: gonfiore intestinale, dolori addominali, feci molli, flatulenza, borborigmi. Sintomi che insorgono da mezz’ora a una due ore dopo e che sono dovuti all’effetto osmotico (purgante) del lattosio, ma anche per la fermentazione dello stesso con produzione di gas nell’ultima parte dell’intestino (colon) ricchissima di batteri. Questo per far capire anche che, per quanto spiacevoli, non si tratta di sintomi devastanti o pericolosi e che quindi l’intollerante al lattosio, anche se nella forma più grave con assenza completa di lattasi, non deve temere il latte come un veleno evitando rigorosamente (e con paura) anche un singolo biscotto che abbia il atte tra gli ingredienti, oppure le poche gocce di latte da mettere nel caffè. Quantità irrisorie, non in grado di dare alcun disturbo o, al massimo, se ne prende un po’ troppo, un blando effetto purgativo o poco più. Un effetto non grave, facile da verificare senza timore e utile per una diagnosi in autonomia senza il bisogno di sottoporsi al test del respiro (breath test). Il problema è reso oggi più complesso perché l’intolleranza al lattosio si confonde, o più spesso si associa, ai disturbi gastrointestinali legati alla così detta “sindrome dl colon irritabile”. Condizione oggi particolarmente frequente (una persona su 5) più spesso donne adulte di giovane età. È possibile che siano molteplici i fattori interessati nel causare il “colon irritabile”, ma certamente il ruolo fondamentale va riportato in primo luogo allo stress emotivo per la forte interazione che abbiamo tra cervello e intestino. I disturbi sono più o meno gli stessi, caratterizzati da frequenti episodi di malessere accompagnato da distensione addominale, meteorismo ed evacuazioni esplosive liberatorie. Anche in questa condizione, che si caratterizza per una accelerata motilità intestinale, l’arrivo di alimenti (mono e disaccaridi indigeriti e/o non ancora assorbiti) nella parte terminale dell’intestino crasso, rappresenta il meccanismo patogenetico fondamentale. Tipicamente l’interessato associa al disturbo l’ingestione di alcuni alimenti che tende ad eliminare e tra questi il latte si trova sempre in prima fila, ma anche il frumento, i legumi e altro. Non esiste una singola cura, o provvedimento alimentare risolutivo e si rimanda il lettore alla vasta (e facile da consultare) letteratura sul tema. Cari saluti.
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