Gravidanza interrotta nel terzo trimestre: cosa può essere accaduto?

Dottoressa Elsa Viora A cura di Elsa Viora - Dottoressa specialista in Ginecologia Pubblicato il 23/04/2023 Aggiornato il 23/04/2023

Per capire cosa ha causato un problema irreversibile è indispensabile possedere un quadro completo di tutta la situazione: il solo risultato dell'esame istologico condotto sulla placenta non basta.

Una domanda di: Carla
Riporto il risultato dell’istologico della mia placenta per capire che cosa abbia provato la morte in utero di mio figlio. Non ho nessun tipo di patologia, ho eseguito tutte le analisi, autopsia nemmeno trovato nulla. Placenta del 3 trimestre, sottopeso, con aree di immaturità dei villi. Alcuni villi si presentano granulociti e necrosi stromale ed eritroblasti e granulociti endovascolari. Sporadiche micro calcificazioni Villari e alcuni villi conglutinati da depositi di fibrina intervillosa. Piatto coriale con vasi fetali amniocoriali con parziale trombosi. Decidua basale con lieve infiammazione cronica. Membrane libere con campi di necrosi laminare della decidua capsulare. Funicolo ombelicale trivasale. Quadro complessivo di sospetto villite/deciduite (ad eziologia …). Esame batteriologico colturale negativo. Vi ringrazio.
Elsa Viora
Elsa Viora

Gentile Carla, purtroppo la morte del feto in utero (morte endouterina fetale MEF) è uno degli eventi più drammatici che una donna, una coppia possa vivere. Secondo la legge in Italia viene definito “nato morto” il feto partorito senza segni di vita dopo il 180° giorno che equivalente a 25 settimane e 5 giorni di età gestazionale. Nei Paesi industrializzati si verifica circa in 1 ogni 200-300 parti. I dati ottenuti negli ultimi 10 anni da due studi italiani (Sistema di sorveglianza della mortalità perinatale realizzato dalla Regione Emilia-Romagna nel 2014) e lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2017) ci dicono in Italia la frequenza della morte fetale è di 3-4 su 1000 parti, un valore che conferma l’Italia in posizione privilegiata nell’ambito dei paesi europei. In oltre il 50% dei casi tardivi, cioè che si sono verificati dopo 28 settimane di età gestazionale, non si riesce a definirne la causa. Non conoscere la causa, può rappresentare per la donna, per la coppia, un ulteriore motivo di ansia, di incertezza: non conoscere perché sia successo certamente non aiuta la donna/coppia ma neppure il medico in quanto riconoscere fattori di rischio può essere di grande aiuto per capire se l’evento si può ripetere e fornire consigli utili proprio a evitarne la ricorrenza. Per poter fornire indicazioni è indispensabile conoscere tutta la storia della gravidanza e di quanto è successo, i dati del neonato e della placenta per cui dare un giudizio conoscendo solo l’esame istologico della placenta può portarci a conclusioni affrettate e superficiali, quindi, con i limiti che ho sopra scritto, da quanto lei ci descrive è ipotizzabile che si tratti di una patologia della placenta che non si è sviluppata come doveva (“sottopeso”) con fenomeni di infiammazione cronica e trombosi; non vi sono elementi di infezione (“esame batteriologico negativo”) né di altri eventi acuti. Se così fosse (nessuna patologia materna nè fetale identificata) il rischio di ricorrenza è basso, ma comunque la prossima gravidanza andrà seguita in Ospedale/Istituto che abbia esperienza di medicina materno-fetale ed andrà considerata una gravidanza a rischio. Le consiglio di portare tutta la documentazione al suo ginecologo e/o in ospedale/consultorio dove è stata seguita in modo che le possano fornire informazioni più dettagliate ed indirizzarla verso un Ambulatorio di medicina materno-fetale vicino al luogo dove abita. Spero di averle fornito un piccolo aiuto in questa situazione così difficile per lei. Un grande abbraccio.

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